Oscar Luigi Scalfaro: un ritratto non scontato

Pubblicato il 30 Gennaio 2012 alle 08:32 Autore: Livio Ricciardelli
oscar luigi scalfaro

Un uomo che con la sua vicenda politica rappresentava, suo malgrado, l’anomalia italiana.

L’ultima volta che ho visto Oscar Luigi Scalfaro era meno di un anno fa. Stavo partecipando alla presentazione di una mostra fotografica sul fin troppo dimenticato ex presidente del consiglio Adone Zoli, e il senatore a vita era tra i relatori del convegno assieme al presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo. In quell’occasione, con parole commosse ma al tempo stesso piene di riconoscenza, Scalfaro raccontava del suo vecchio compagno di partito, mancato collega all’Assemblea Costituente, che invitò nella veste di Guardasigilli in un centro penitenziario nei pressi di Novara.

In quell’occasione Zoli, commosso dalla visita e spronato dal giovane Scalfaro ad un discorso pubblico, pronunciò una frase semplice ma dalla portata così universale da apparire a tratti inquietante per gli interrogativi che può porre: “Personalmente mi sono sempre più concepito come il ministro della grazia che come quello della giustizia”.

Scalfaro allora era già un magistrato e un promettente uomo politico. Ma disse che quella frase lo turbò così tanto da fargli vedere sotto una luce nuova  il ruolo di legislatore e di magistrato e gli dava anche una diversa visione del mondo così efficacemente descritto da un precetto pienamente cristiano.

Era infatti un democristiano conservatore, Oscar Luigi Scalfaro. Non inquadrabile in nessuna componente particolare, era però figlio di quella terra piemontese che aveva dato i natali ad un democristiano come Giuseppe Pella, quel “liberista cristiano” capace di coagulare idealmente su di se tutte le istanze destreggianti del partito cattolico.

oscar luigi scalfaro

L’uomo di cui si ricordavano tutti per la triste vicenda legata alla moglie che morì poco dopo avergli dato la sua unica figlia Marianna, sempre accanto al padre nel corso del settenato. E anche l’uomo che di fronte ai famosi tribunali speciali prendeva la parola, in quanto magistrato, per sottolineare come fosse contrario alla pratica della pena di morte non ancora abolita nei mesi precedenti alla nascita della Costituente.

Una personalità politica di cui tutti ricordavano un certo “puritanesimo” (epico l’episodio della schiaffo dato in un ristorante romano ad una donna rea di esibire un troppo generoso decolté), ma al tempo stesso uno spirito istituzionale, soprattutto a seguito della sua nomina a ministro dell’interno, che in pochi osavano osteggiare politicamente in maniera netta.

E’ stato il Presidente della mia infanzia. Un modello che per forza di cose era destinato a riproporsi ogni settennato. Un metro di paragone difficile da accantonare del tutto.

Quasi un stereotipo, a tratti. Come se tutti i presidente della Repubblica dovessero avere la “r” moscia. E come se, vista l’alta onorificenza della carica, tutti dovessero disporre di un doppio nome, come un casato nobiliare di stampo laico e repubblicano. Del resto nel 1999 si passò da Oscar Luigi a Carlo Azeglio.

Eletto Capo dello Stato dopo 16 scrutini e una lunga trattativa politica sbloccata solo dagli eventi stragisti del maggio del 1992, Scalfaro si trovò catapultato dalla Presidenza di Montecitorio al Quirinale nel peggior periodo del paese dal dopoguerra.

Tangentopoli in corso, le stragi mafiose con la morte dei giudici Falcone e Borsellino, il crollo dei partiti conseguenti agli scandali giudiziari e la crisi economica che portò ad una necessaria quanto mai traumatica svalutazione della lira.

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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