La questione Ucraina porta incertezza, nuovi rischi per la ripresa UE

Pubblicato il 3 Marzo 2014 alle 10:58 Autore: Giovanni De Mizio

Settimana caratterizzata dal precipitare degli eventi in Ucraina: dopo tre mesi nel corso dei quali la situazione è stata lasciata a macerare fino a costringere la Russia all’angolo, Vladimir Putin ha deciso di uscirne nell’unica maniera che gli era rimasta, ovvero mandare i blindati (mercenari, per ora). Ciò ha ulteriormente aggravato la situazione finanziaria locale (la banca centrale ha imposto controlli sui capitali) e i venti di guerra difficilmente faranno bene alla ripresa economica nella vicina area euro.

Appare molto difficile che i continui richiami occidentali al rispetto degli integrità territoriale Lucana verranno accettati senza una contropartita da parte russa: è evidente fin dalla guerra in Georgia del 2008 che la Russia non accetterà ulteriori restrizioni della sua sfera di influenza a beneficio della Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea, e la pessima gestione della crisi ucraina da parte dell’ovest ha permesso a Putin di avere la scusa buona per intervenire con la forza come fu appunto per le crisi in Abkhazia e Ossezia del Sud.

Anche i richiami alle violazioni del diritto internazionale non sembrano essere una strada percorribile, visto che usciamo fuori da 15-20 anni nel corso dei quali il diritto internazionale è stato indebolito dall’Occidente con interventi militari sempre più dubbi. La Russia non sta facendo altro che giocare allo stesso gioco.

Lo scenario più probabile è una presa di coscienza graduale dello stato delle cose, in attesa che la polvere si posi su una geografia dell’Europa orientale mutata e sperando che la diplomazia occidentale torni a considerare seriamente una Russia che non vuole rimanere accerchiata, avendo praticamente già perso tutto ciò che è a ovest di Ucraina e Bielorussia (visto che ulteriori interventi militari di Mosca in regioni con forti minoranze russa, come le repubbliche baltiche, finirebbero per attivare l’articolo 5 del trattato NATO, ovvero il patto di mutua difesa). Il mondo ritornerebbe allo stato precedente la crisi ucraina, solo con un po’ meno Ucraina in giro (e forse con il ritorno del G8 a G7, almeno temporaneamente).

Allo stato, infatti, non sembra esserci modo per far desistere Putin dall’occupazione di una parte dell’Ucraina, se non un intervento militare che non solo alcuni Paesi non vogliono, avendo prosperosi legami commerciali con Mosca (gas, ma non solo), ma che non è neppure auspicabile per le conseguenze che ne deriverebbero. La Crimea, quindi, è destinata a tornare in mani russe dopo sessant’anni, a meno che non si ripeta la sciocca situazione di 160 anni fa, quando una diplomazia sciocca scatenò una guerra ben nota (si spera) agli studenti italiani, essendo essa parte del Risorgimento italiano.

Purtroppo la diplomazia occidentale moderna sembra tutto fuorché preparata, avendo sbagliato tutte le analisi negli ultimi quindici anni: solo pochi giorni fa analisti (e giornalai anche italiani al seguito) avevano assicurato che la tragedia ucraina era terminata e i blindati russi non sarebbero mai sbarcati in Crimea. Che la Russia sarebbe intervenuta era evidente, come notava lo scrivente (fra pochi altri) in tempi non sospetti, poiché la Crimea non sarebbe il primo stato non riconosciuto a esistere nell’orbita russa (senza citare di nuovo Abkhazia e Ossezia del Sud, strappate a una Georgia che è troppo vicina all’Occidente, la Transnistria a molti non dirà nulla, ma esiste ed è sotto tutela russa). Insomma, nulla di nuovo, almeno per chi vuole vedere il mondo per come è, invece che per come si vorrebbe che fosse.

Per tutte queste ragioni l’incertezza potrebbe farla da padrone per alcune settimane, fin quando il nuovo equilibrio mondiale non si sarà riassestato, e sperando che non vi siano ulteriori provocazioni ambo i lati.

La settimana macroeconomica inizia con gli indici dei direttori degli acquisti, che dovrebbero rimanere su livelli sostanzialmente stabili: sotto la soglia dei 50 punti che separano espansione e contrazione dovrebbero esserci sempre Cina e Francia. Mercoledì toccherà ai PMI del terziario: il discorso è il medesimo, con l’Italia che dovrebbe rimanere, secondo le attese, poco sotto i 50 punti. Sempre mercoledì conosceremo la stima preliminare del PIL europeo, atteso in crescita dello 0,3%; le vendite al dettaglio europee dovrebbero tornare a crescere dello 0,8 per cento su base mensile. In serata verrà pubblicato il Beige Book sullo stato di salute dell’economia USA.

Giovedì, come ogni primo giovedì del mese, sarà giornata di tassi di interesse per Regno Unito ed Eurozona: gli analisti non si attendono novità, ma appare sempre più concreto il timore che le armi convenzionali della BCE siano spuntate. Resta il problema che misure non convenzionali troveranno resistenze che ne ritarderanno l’implementazione sin quando, di nuovo, non saranno esse stesse a loro volta spuntate. Attesi ancora stabili intorno alle 330 mila unità i jobless claims USA.

Venerdì dovremmo registrare il ritorno in positivo della produzione industriale tedesca dopo il calo di oltre mezzo punto registrato nella rilevazione precedente. L’ultimo giorno dell’ottava sarà però occupato principalmente dalle novità relative al mercato del lavoro USA: con un tasso di disoccupazione stabile (per quel che vale), ci si attende una lieve accelerazione dei nuovi lavoratori in settori non agricoli.

Giovanni De Mizio