Abolizione del Senato? Mai dire mai

Pubblicato il 23 Marzo 2014 alle 12:41 Autore: Alessandro Genovesi
senato

È il manifesto del renzismo. Anche più della legge elettorale, del Jobs Act e degli aumenti nella buste paga dei lavoratori. L’abolizione del Senato, con conseguente “botta” ai costi della politica e superamento del bicameralismo perfetto, è da mesi il vero mantra del Presidente del Consiglio, che non perde occasione di rilanciarla e ribadirla in ogni occasione.

Eppure. Dopo settimane di battaglia sottotraccia, sono gli stessi senatori a sentirsi più tranquilli, essendosi convinti che, altro che abolizione, questa sarà al massimo una rottamazione soft. In parole povere, ci sono buone possibilità che il Senato continui a chiamarsi Senato e non diventi mai quella “Assemblea delle autonomie” del progetto originario.

L’asse trasversale già scalpita a Palazzo Madama: senza abbattere i tre capisaldi che Renzi aveva piantato con forza durante la direzione del Pd – fiducia solo dalla Camera, i senatori non vengono eletti dai cittadini e sono a costo zero – Pd e Ncd hanno tuttavia lavorato per ammorbidire il monocameralismo, rafforzando, contestualmente, le competenze dei senatori.

Nello specifico, si parla di un bicameralismo che resterebbe, oltre che per le modifiche costituzionali, anche per la riforma della legge elettorale e dei diritti civili. Un compromesso che, a conti fatti, potrebbe stare bene anche allo stesso Presidente del Consiglio, ansioso di presentare agli italiani una bozza di riforma costituzionale e quindi ben attento a non inimicarsi troppo i futuri ex senatori.

A conferma di quello che, ad ora, è poco più di un retroscena, ci pensano le parole di un sempre cauto Gaetano Quagliariello, esponente di spicco del Nuovo centrodestra: “La cosa fondamentale è che il Senato non diventi un ente inutile e che non si vada verso un monocameralismo mascherato. Dobbiamo tenere assieme Senato e riforma del Titolo V”. A queste dichiarazioni fanno eco quelle di Luigi Zanda, presidente dei senatori del Pd: “I parlamentari interverranno con i loro suggerimenti sul primo testo del governo, poi bisognerà decidere se verrà presentato dai partiti oppure dall’esecutivo. Si tratta di una riforma costituzionale, per la quale serve una maggioranza molto larga…”.

Staremo a vedere. Di certo la strada per fare dell’Italia un paese completamente “monocameralista” è tutta in salita.

L'autore: Alessandro Genovesi

Classe 1987, laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Udine, è da sempre appassionato di politica e di giornalismo. Oltre ad essere redattore di Termometro Politico, collabora con il quotidiano Il Gazzettino Su twitter è @AlexGen87
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