Simboli per le europee: la rabbia curiosa dei Forconi

Pubblicato il 7 Aprile 2014 alle 16:45 Autore: Gabriele Maestri

Ore 16, i giochi sono fatti: scade il termine per la presentazione dei simboli validi per le elezioni europee e la bacheca segna 64 simboli (67, se si considerano anche i ritiri). Non poteva mancare però la gazzarra dell’ultimo minuto: autore stavolta è Mariano Ferro, esponente siciliano dei Forconi che ha dato il via al movimento ben noto.

Lui, concitato, ha richiamato l’attenzione dei giornalisti presenti, chiedendo tutela per il proprio simbolo: “Qualcuno mi ha detto che oggi si chiudeva il deposito dei simboli e che qualcuno aveva depositato l’emblema con la scritta Forconi. Ma qualcuno può depositare un simbolo con un marchio che non gli appartiene?” A tutti ha ricordato anche la sua precedente partecipazione alle elezioni regionali siciliane del 2012, alle quali era candidato presidente.

Ferro

L’aria si è un po’ scaldata, anche perché lui non era venuto a Roma per depositare il contrassegno (risulta che abbia incontrato il sottosegretario Delrio): si è presentato persino il prefetto Nadia Minati, direttrice centrale dei servizi elettorali, per dirgli che la sua situazione (anzi, quella del simbolo “concorrente”) sarà valutata in base alla normativa speciale elettorale.

Ferro, che ha annunciato l’intervento dei propri legali per  ovviamente ha approfittato delle telecamere e dei fotografi per bacchettare i giornalisti, dicendo che occorre smettere di citare i Forconi solo quando ci sono gli arresti, come se si riconoscesse la forza del marchio solo quando si tratta di gettare fango.

Tutto bene? Insomma, qualcosa non quadra (e non per le accuse ai giornalisti): il signor Ferro, infatti, si è presentato al Viminale con il cappellino dotato di “pin” dei Forconi, guarda caso con un emblema tondo, come quello che potrebbe andare sulle schede. Gli abbiamo chiesto come mai, avendo già il simbolo, non ha pensato di fare una minidichiarazione, asserendo di esserne il fondatore e rappresentante e magari facendo intervenire la tipografia del Viminale; lui non ha risposto, chiedendo solo quanto tempo ci sarebbe stato per farlo (ma il termine, ovviamente, era già scaduto).

Chi non deposita un emblema, per la legge, non può ufficialmente contestarne un altro (per lo meno non in modo formale in questa fase): per ora, dunque, Ferro non potrà fare nulla. Ma il fatto che si sia presentato a tempo sostanzialmente già scaduto, con quel cappellino e solo sulla base (a detta sua) di una segnalazione suona almeno strano: la buona fede si concede a tutti, ma certamente quella contestazione si è trasformata in un’occasione di pubblicità a costo (quasi) zero. Con la complicità, ovviamente, di chi ha raccolto, scritto, ripreso e fotografato.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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