Il viaggio di Salvini in Corea del Nord: “Non è un inferno. Lì Razzi è una star”

Pubblicato il 3 Settembre 2014 alle 15:51 Autore: Redazione

Nei giorni scorsi si è parlato molto della missione diplomatica in Corea del Nord che ha visto protagonista una delegazione italiana, guidata da Antonio Razzi, all’interno della quale non è sfuggita la presenza di un altro volto noto della politica italiana, il segretario federale della Lega Nord Matteo Salvini. E proprio quest’ultimo, in un’intervista al Corriere della Sera, ha raccontato le impressioni sul suo viaggio, durato cinque giorni, senza internet né telefono, ma sufficienti all’europarlamentare milanese per farsi un’idea.

salvini

Salvini incontra Kim Yong-Nam, presidente del “parlamento” coreano

Incalzato sulla brutalità del regime nordcoreano, Salvini ha subito messo in chiaro di aver voluto vedere con i suoi occhi la realtà, da un punto di vista scevro di pregiudizi, rilevando «un Paese molto diverso dal nostro, un’opportunità gigantesca per i nostri imprenditori. Hanno bisogno di molte cose e l’embargo nei loro confronti è idiota. Pensi che ci avevano chiesto due navi da crociera e non gliele possiamo dare. È assurdo, non sono cannoni. L’embargo nei loro confronti andrebbe tolto, come alla Russia di Putin del resto». Non a caso, l’intento principale della visita in Corea della delegazione di cui Salvini faceva parte (con politici e imprenditori nel settore del turismo, dell’agricoltura e dell’edilizia) è stato proprio quello di intavolare progetti e accordi commerciali con l’Italia, che potrebbe diventare un partner di riferimento per lo sviluppo economico nordcoreano.

Per quanto riguarda la qualità della vita, Salvini ne ammette le criticità («non cambierei la mia vita con quella che si conduce in Corea del Nord») anche se l’idolatria collettiva nei confronti del giovane dittatore Kim Jong-un non gli appare così lontana dall’esaltazione pubblica che Renzi riceve quotidianamente in Italia. Al di là delle provocazioni, comunque, il segretario leghista ci tiene ad evidenziare che si tratta di «un altro modello che io non demonizzo: non indico come un inferno un sistema che non conosco. Lì lo Stato dà tutto: scuola, casa, lavoro. Insomma, al mondo non c’è solo lo stile di vita americano». E la popolazione? «Ho visto un senso di comunità splendido. Tantissimi bambini che giocano in strada e non con la playstation, un grande rispetto per gli anziani, cose che ormai in Italia non ci sono più»

Non poteva mancare, poi, il riferimento alla guida del gruppo, il senatore Antonio Razzi, al suo settimo viaggio in Corea, definito come una «persona spumeggiante, piena di iniziativa e considerato a Pyongyang come una star, un’autorità assoluta».Lo stesso Razzi, più volte, ha dichiarato di voler valorizzare il calcio (di cui sarebbe appassionato anche il “grande maresciallo” Kim Jong-un) come strumento teso a consolidare i rapporti tra il nostro paese e la Corea del Nord, e proprio Salvini ha confermato che si stanno portando avanti alcuni progetti per l’integrazione di alcuni talenti nordcoreani in realtà calcistiche italiane. E a proposito di calcio, il segretario della Lega non si è fatto sfuggire l’incontro con il leggendario Pak Doo-Ik, classe ’42, che ai mondiali del 1966 umiliò la nazionale italiana, la stessa nazionale nei confronti della quale Salvini non ha mai nascosto il suo astio («All’incontro con Pak Doo-Ik indossavo la maglia del Milan, l’unica che conta per me. E qui mi fermo»).

Salvini con Pak Doo-Ik, il centrocampista che eliminò l'Italia dal mondiale 1966

Salvini con Pak Doo-Ik, il centrocampista che eliminò l’Italia dal mondiale 1966

Tornato soddisfatto da questo breve ma intensa missione (che – ci tiene a sottolinearlo – è stata interamente pagata di tasca propria da ognuno dei partecipanti), Salvini è pronto per i prossimi viaggi, già in programma. «La Cina, l’India. E la Russia: ci andrò in autunno. Sarò il portavoce delle imprese italiane che se ne sbattono delle sanzioni di Bruxelles e di Washington contro Putin. Nel nostro gruppo all’Europarlamento lo diciamo spesso: bisogna guardare a Est». A dimostrazione del rinnovato interesse della destra radicale europea nei confronti di una prospettiva eurasiatica.

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