L’1% cresce più del 99%, ma sono sempre le stesse persone? Pare proprio di no

Pubblicato il 22 Settembre 2014 alle 15:35 Autore: Gianni Balduzzi

Dallo scoppio della crisi in USA con il fallimento di Lehman Brothers, le conseguenti proteste contro il ruolo di Wall Street e della finanza sono sfociate in Occupy Wallstreet,  movimento un po’ nuovo un po’ erede delle proteste antiglobal a cavallo del 2000, il cui slogan era “we are the 99%”, facendo riferimento a quel 99% di popolazione rimasta sfavorita dagli ultimi anni di crescita in confronto all’1% che ha realizzato guadagni stratosferici grazie alla finanza. Quanto c’è di vero in quanto predicavano? E la loro prospettiva è quella giusta?

I dati che presentano gli attivisti di Occupy sono inequivocabili, o quasi, ovvero il fatto che la crescita del reddito reale dopo le tasse sia cresciuto in USA secondo il Congressional Budget Office del 278% per l’1% più ricco e solo del 18% per il 20% più povero dal 1979 al 2007, ovvero alle soglie della crisi economica. Lo vediamo dal seguente grafico:

crescita quintili

C’è chi come l’economista Tino Sanandaji contesta queste misurazioni sulla base non solo del fatto che il PIL ufficiale procapite è cresciuto invece totalmente del 108%, ma anche degli inesatti calcoli dell’inflazione in questo periodo e ricalcola questi dati stimando per esempio la crescita del 99% più povero al 80% contro il 46% del CBO. Lo stesso Sanandaji ammette che l’1% più ricco si è accaparrato comunque il 25% della crescita totale.

Che infatti la disuguaglianza sia aumentata è assodato, e per esempio la tesi molto in voga di Piketty (il quale per esempio stima solo in 17% la crescita del 99% più povero) è che il capitalismo in sè abbia un “baco” che produce intrinsecamente un aumento della disuguaglianza, come avvenuto dal 1975 in poi, per la tendenza, in periodi di crescita minore come accade alle economie mature, del tasso di ritorno della rendita a essere superiore a quello dell’economia in generale, e il vantaggio dei quintili più ricchi, o del 1% più ricco nel fare fruttare il proprio capitale, facendolo crescere, rispetto alle possibilità dei più poveri di far crescere il proprio salario in tempo di globalizzazione. Molte sono state le critiche, così come le approvazioni, a questa visione, e a prescindere da tutte queste, però, e forse un po’ oscurati da questo dibattito, è passato inosservato un quesito? Chi sono questi ricchi e questi poveri? E soprattutto, sono le stesse persone? Chi era nel top 1% nel 1980 lo è anche ora a godere l’aumento del proprio reddito?

Alcuni ricercatori si sono comunque posti il problema e i risultati sembrano interessanti: secondo il National Longitudinal Surveys (NLS) dell’ufficio statistico del ministero del lavoro USA il 70% dei componenti dell’1% più ricco ha genitori che non provengono dal 10% più benestante, bensì dalla classe medio-alta.

Inoltre Barry Ritzholz usa database disponibili come quello del Panel Study of Income Dynamics (PSID) dell’Università del Michigan per analizzare come le famiglie si sono mosse in un lungo arco di tempo dal 1968 al 1980 e poi dal 1980 al 2009 tra i diversi quintili di reddito e centrando la rilevazione sulla famiglia e non sull’anonima classe di reddito e considerando per esempio quanto nel 2009 possedeva del reddito nazionale una famiglia che nel 1980 apparteneva a ogni dato quintile.

Ebbene i risultati sono piuttosto sorprendenti. A quanto pare la quota di reddito del 2009 posseduta dal quintile che era il più ricco nel 1980 scende dal 39,2% al 32,4%, percentuali analoghe a quelle del confronto tra 1968 e il 1980.

quintili confronto

La quota di reddito invece posseduta dal quintile che era cominciato come più povero sale, di poco tra il 1980 e il 2009, dal 5,2 al 6,1%, mentre era salita molto di più tra il 1968 e il 1980, dal 4,7% al 11,2%. Una mobilità quindi positiva, al contrario delle aspettativa, anche se declinante.

Al contrario è il terzo quintile, la classe media, ovvero quella che era classe media in partenza, ad aver efatto un balzo di 8 punti tra il 1980 e il 2009 mentre aveva diminuito la propria quota di redito dal 1968 al 2009 di un punto.

La conclusione è che se prendiamo le persone concrete, coloro che sono partite a un livello medio di reddito non solo hanno guadagnato reddito, ma che lo hanno fatto in modo crescente, e la mobilità è cresciuta. Si ridefiniscono quindi i confini dei perdenti, relativi, della globalizzazione, ovvero coloro la cui mobilità è diminuita, il quintile più povero che ha pagato l’elevatissima concorrenza al ribasso nei salari dei lavori low skilled. Anche coloro tuttavia che erano partiti in questo settore hanno aumentato più che proporzionalmente il reddito.

Una ricerca della federal reserve del Minnesota arriva a conclusioni simili per il periodo 2001-2007 analizzando un pool di famiglie e misurando in 6 anni se e come avevano cambiato segmento di reddito:

incomemobility

Ebbene, il numero di famiglie che aveva cambiato segmento era rilevante, più di metà per la classe media, poco meno per i più ricchi ed i più poveri, tra coloro che erano cambiati nei primi segmenti più poveri, più di metà era passato a uno più ricco e il 34% della fascia più ricco era retrocesso.

Il miglioramento della mobilità è confermato anche da Emmanuel Saez, economista di Berkeley, che calcola che la possbilità di rimanere nell’1% più ricco nei successivi 5 anni è solo del 60%, anzi in leggera diminuzione rispetto ai decenni precedenti.

Tutto questo consente a Hirschl della Cornell University, che ha osserato 44 anni di dati, di affermare che almeno per un anno della sua vita

– il 12% degli americani sarà nel 1% più ricco

– Il 39% potrà essere nel top 5%

– Il 56% starà nel top 10%

– Il 73% starà nel top 20%

Allo stesso tempo solo il 0,6% della popolazione rimarrà nel 1% più ricco per almeno 10 anni.

Dall’altra parte è vero che il 54% sarà in povertà o vicino alla povertà almeno una volta, anche se in questo dato sono compresi coloro che sono appena usciti dal college o vi sono ancora.

In definitiva le categorie del 1% o del 99% usate e stra-usate nel dibattito pubblico non sono statiche, non rappresentano una quota immutata di ricchi di poveri, sempre gli stessi, che negli anni vede aumentare o diminuire le proprie ricchezze. E’ come un valzer di persone che entrano ed escono da queste categorie, sarebbe opportuno che la politica guardasse a queste come tali, più che come a categorie ideologiche.

L'autore: Gianni Balduzzi

Editorialista di Termometro Politico, esperto e appassionato di economia, cattolico- liberale, da sempre appassionato di politica ma senza mai prenderla troppo seriamente. "Mai troppo zelo", diceva il grande Talleyrand. Su Twitter è @Iannis2003
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