Jobs Act, Bersani frena i malumori: “Su voto finale lealtà a Renzi e alla ditta”

Pubblicato il 1 Ottobre 2014 alle 10:20 Autore: Emanuele Vena
renzi

Dopo la direzione del PD di due giorni fa ed il botta e risposta di ieri tra Renzi ed i sindacati, continua la discussione attorno al Jobs Act, il progetto di riforma del lavoro.

MINORANZA PD – Pierluigi Bersani getta acqua sul fuoco e assicura lealtà al governo: “Certamente non mancherà la lealtà verso il partito e il governo. Anzi, più netta è la chiarezza delle opinioni, più può emergere il senso di responsabilità”. “Dove non sono d’accordo lo dico, ma non ho bisogno di farmi spiegare la ditta dai neofiti”, sottolinea l’ex segretario del Pd. Anche perchè il premier ha aperto a modifiche al testo, come evidenzia il civatiano Felice Casson: “Se Renzi manterrà la parola data in direzione” e tradurrà in norma gli emendamenti della minoranza “noi non avremmo più problemi – ha aggiunto – Saranno semmai problemi del Nuovo Centrodestra”

Intervistato da ‘Repubblica’, Gianni Cuperlo parla di confronto non ancora chiuso: “Il Parlamento ha la responsabilità di licenziare una buona riforma. Non amo le dispute muscolari. Quando arriveremo al voto finale spero che il testo sia frutto di una condivisione”. A proposito degli emendamenti al testo del Jobs Act, Cuperlo non molla e rilancia, augurandosi che “li voti tutto il Pd perchè lo spirito è migliorare la riforma”. L’ex candidato segretario minimizza gli attriti interni: “D’Alema e Bersani? Hanno detto la loro nel rispetto della libertà d’opinione”. E allontana i venti di crisi di governo: “Non scherziamo. Voglio che questo governo faccia le cose che ha detto di voler fare”.

GLI ALTRI PARTITI – Se Pino Pisicchio – presidente del gruppo misto alla Camera – avverte che “per una buona riforma si deve superare il conflitto ideologico, altrimenti si rischia di non centrare alcun obiettivo”, perplessità sul Jobs Act arrivano dagli alleati di governo. A partire dall’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che – intervistato dal ‘Sole 24 Ore’ – parla di testo ambivalente che “può produrre esiti diversi, sta a come si declina nei criteri della delega e nei decreti delegati”, perché “nel dettaglio si nascondono angeli e demoni”. Sacconi chiede in particolar modo “una definizione inequivoca del licenziamento economico che deve riguardare ogni esigenza organizzativa senza che il magistrato possa entrare nel merito della scelta dell’imprenditore”, con un reintegro possibile solo laddove c’è “manifesta insussistenza del fatto materiale alla base del licenziamento senza salti logici al contesto occupazionale del territorio”. Da Sacconi anche un appello al premier: “Renzi sfugga dalla ‘sindrome Fornero’, il ministro che partì per andare a Milano e si ritrovò a Caltanissetta, invece di fare un mercato del lavoro più flessibile lo fece più rigido, grazie alla combinazione tra le rigidità certe in entrata e le flessibilità incerte in uscita”. Il ministro Maurizio Lupi avverte che “l’unica cosa che non si farà sarà la mediazione al ribasso”, mentre Fabrizio Cicchitto sottolinea che “non stiamo ragionando per smontare l’articolo 18 per facilitare i licenziamenti, ma per togliere una rigidità che può ostacolare le assunzioni”. E mentre Raffaele Fitto chiede al suo partito, Forza Italia, di sostenere “compattamente e con una battaglia parlamentare chiara le nostre proposte emendative”, arriva il duro commento di Renato Brunetta, che a ‘Radio Radicale’ parla di un Jobs Act snaturato, “un imbroglio” che ha portato a “vanificare la portata ‘eversiva’ della riforma”. “Noi avevamo detto ok a Renzi rispetto alle sue affermazioni di superamento dell’art. 18 ma se Renzi, per tenere insieme il suo partito, fa marcia indietro noi non potremo fare altro che votare contro e denunciare questo imbroglio”.

A DIFESA DEL JOBS ACT – A difesa del progetto di riforma si esprime Tommaso Nannicini, economista della Bocconi e stretto collaboratore del premier Renzi, il quale – intervistato sempre dal ‘Sole 24 Ore’ – parla del reintegro e spiega: “Vogliamo che sulla gestione e sulle decisioni aziendali decida solo l’imprenditore, e non più il giudice. Sui disciplinari poi verranno individuate delle casistiche estreme dove se il fatto contestato, per esempio un furto, risulta falso, il lavoratore subisce una lesione della dignità personale e quindi ha diritto alla tutela reale”. Riguardo ai licenziamenti disciplinari e a quelli economici, Nannicini parla di dettagliata tipizzazione per i primi e di “precisa indicazione delle tutele monetarie” per i secondi. Riguardo all’ammontare della compensazione economica per questi ultimi, l’economista non si sbilancia, dicendo che sarà “crescente con l’anzianità di servizio”, aggiungendo che “è prematuro fare cifre, ma il dibattito in corso e le esperienze straniere suggeriscono tutele economiche nell’ordine di una-due mensilità ogni anno di servizio prestato”. Abbastanza soddisfatto anche Pietro Ichino, ex PD ora senatore di Scelta Civica, che intervistato da ‘Radio Città Futura’ afferma: “Valuto come un fatto positivo quanto deciso dalla direzione Pd, anche se avrei preferito maggiore precisione sul punto relativo ai licenziamenti per motivi disciplinari”. E poi aggiunge: “credo che ci sia ampio spazio nella discussione parlamentare per precisare e mantenere il disegno di legge nella direzione in cui si muove, ovvero voltare pagina rispetto al vecchio regime di job property”.

I SINDACATI – Le sigle sindacali mantengono prudenza, in particolar modo sulla questione del Tfr in busta paga. Se Susanna Camusso (CGIL) avverte che “quelli sono soldi dei lavoratori, frutto dei contratti e delle contrattazioni e non una elargizione di nessun governo e non è un nuovo bonus se no, davvero, siamo alla disinformazione”, Luigi Angeletti (UIL) ricorda che “bisogna continuare a ridurre le tasse sul lavoro. Capisco l’intenzione di dire che bisogna avere più soldi in tasca, ma non è questa la strada giusta”. Sul Tfr è fermo lo stop anche da parte delle imprese, che lo considerano un potenziale elemento acceleratore delle crisi aziendali, prosciugandone la liquidità. Resta la prudenza sindacale anche sull’articolo 18, con la Camusso che respinge le critiche di chi lo considera un tema vecchio – “ci sono dei simboli che non invecchiano mai” – mentre Angeletti dichiara di voler “aspettare e vedere cosa esce realmente”. Duro invece l’intervento di Anna Maria Furlan, segretario in pectore della CISL: “Basta speculazioni sul lavoro. Il Tfr è meno tassato dello stipendio, della busta paga dei lavoratori e non vogliamo che in questo modo i lavoratori paghino più tasse anche su quello”.

L'autore: Emanuele Vena

Lucano, classe ’84, laureato in Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna e specializzato in Politica Internazionale e Diplomazia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Appassionato di storia, politica e giornalismo, trascorre il tempo libero percuotendo amabilmente la sua batteria. Collabora con il Termometro Politico dal 2013. Durante il 2015 è stato anche redattore di politica estera presso IBTimes Italia. Su Twitter è @EmanueleVena
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