Immigrazione nel Mediterraneo: le incognite dell’operazione Triton

Pubblicato il 30 Ottobre 2014 alle 12:30 Autore: Mediterranean Affairs

(In collaborazione con Mediterranean Affairs)

Lo scorso 15 ottobre, l’annuncio del ministro per gli Affari Esteri e del Commonwealth, Joyce Anne Anelay, riguardo al rifiuto del Regno Unito a prendere parte all’operazione Triton ha confermato non soltanto una politica britannica sempre più chiusa alla migrazione, ma anche i malcelati malumori che sempre più aleggiano attorno alla gestione europea dei cosiddetti “viaggi della speranza”.

La ragione alla base del fermo no britannico va ricercata nell’avvio dell’operazione Triton, previsto per il prossimo 1 novembre. Considerata inizialmente come complementare all’operazione Mare nostrum, presto sarà la sola freccia che l’Unione Europea avrà al suo arco per fronteggiare un’emergenza che ogni mese diventa sempre più stringente.

Il governo italiano, attraverso il Primo Ministro Matteo Renzi e il ministro dell’Interno Angelino Alfano, ha annunciato di porre fine a Mare nostrum, con il consenso dell’agenzia europea Frontex.

Triton 2

Photo by Noborder NetworkCC BY 2.0

L’operazione aveva contribuito a salvare la vita di 150.810 migranti, ma non è riuscita a impedire la morte di altri 3.000 disperati diretti sulle coste europee. Inoltre, va aggiunto che all’Italia è costato un dispendio di risorse che il paese faticava ormai a sostenere: si comprende, quindi, perché a nulla sono valse le proteste che sono state mosse dalle istituzioni internazionali e NGO, come Amnesty International, Save the Children e UNHCR.

Che cosa prevede l’operazione Triton e perché è ritenuta inadatta? Rispetto alle operazioni Mare nostrum, Hermes e Aeneas, l’operazione Triton costituirà ben poca cosa: in primo luogo, è previsto un pattugliamento fino ad appena 30 miglia dalle coste italiane, comprendendo altresì un’area piuttosto ristretta del bacino del Mar Mediterraneo, contrariamente a quanto previsto nell’operazione Mare nostrum, che si estendeva fino alle acque internazionali nel tentativo di tutelare l’incolumità dei migranti a ridosso delle coste nord africane.

Secondariamente, i fondi messi a disposizione dall’Unione Europea saranno pari a 2,9 milioni di euro al mese per tutto il 2014, con lievi probabilità di essere aumentati nel 2015. Tale eventualità è poi posta fortemente in discussione dalla necessità di avere il consenso congiunto del Consiglio Europeo e del Parlamento Europeo. Proprio quest’ultimo si è mostrato meno incline ad assumere una posizione favorevole alla migrazione, soprattutto dopo il 2005, ovvero da quando ha acquisito potere di decision making in materia.

Ultimo fattore rilevante, considerata la natura strettamente volontaria dell’adesione all’operazione Triton, è l’indifferenza dimostrata da Germania e dal Regno Unito, che hanno dichiarato l’indisponibilità a fornire strumenti tecnici e mezzi di sostegno. Secondo le fonti ufficiali, sono nove i paesi che a ottobre si sono resi disponibili: Finlandia, Francia, Islanda, Italia, Lettonia, Malta, Paesi Bassi, Portogallo e Spagna.

La solidarietà, benché apprezzata, è però insufficiente e, alla vigilia dell’avvio dell’operazione Triton, ci s’interroga sulla reale capacità dell’Unione Europea e dell’agenzia Frontex. In particolare, riguardo all’intenzione di portare avanti un’efficace azione in materia di gestione flussi e migrazione, riuscendo altresì a superare le divisioni che fino adesso l’hanno ostacolata.

Irene Aragona
(Mediterranean Affairs – Contributing editor)

Immagine in evidenza: photo by Noborder NetworkCC BY 2.0

L'autore: Mediterranean Affairs

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