Caso Moro, nuovi dettagli a 36 anni dall’accaduto

Pubblicato il 13 Novembre 2014 alle 12:10 Autore: Felice Tommasino
caso moro

Caso Moro, a 36 anni dall’accaduto potrebbero emergere nuovi dettagli. L’omicidio di Aldo Moro avvenuto a Roma il 9 maggio 1978 è senz’altro una delle pagine più buie della storia del nostro paese. Tante ombre e pochissime luci su quella vicenda. “L’hanno ucciso le Brigate Rosse”: nell’opinione di molti è sentenziabile così l’accaduto. Ma troppi sono i dubbi e i misteri che da allora hanno accompagnato il racconto di quei giorni.

Ora potrebbero emergere lati rimasti finora sommersi. Il procuratore generale di Roma, Luigi Ciampoli, ha chiesto una indagine nei confronti di Steve Pieczenik, ex funzionario del dipartimento Usa, esperto di terrorismo, consulente del governo italiano durante i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro e membro del comitato costituito al Viminale da Francesco Cossiga allora ministro dell’Interno.

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Caso Moro, i sospetti su “l’amerikano”

Quel comitato pullulava di uomini della P2. Le accuse nei confronti de “l’amerikano”, questo il soprannome di Pieczenik, sono gravissime. Secondo il Procuratore generale sussisterebbero “gravi indizi circa il suo concorso nell’omicidio” di Moro. Quella uccisione “non fu un omicidio legato solo alle Brigate Rosse. Bisogna prendere atto che sul palcoscenico di via Fani non c’erano solo le Br. Ma c’erano i nostri servizi segreti e quelli di altri paesi interessati a creare il caos in Italia. Presenze che i brigatisti hanno sempre sminuito”. Questo è quanto sostiene il pg di Roma nel decreto di archiviazione inviato nei giorni scorsi al tribunale sulle rivelazioni dell’ex ispettore di polizia Enrico Rossi.

Via Fani: l’ombra dei Servizi segreti

L’ispettore aveva ipotizzato la presenza dei Servizi segreti in via Fani. Sarebbero stati proprio due agenti le due misteriose persone bordo della moto Honda. Dalle indagini emergerebbe il ruolo svolto da Pieczenik. Un ruolo di rilevante importanza che troverebbe conferma anche nel suo libro confessione pubblicato a 30 anni dall’accaduto ed intitolato “Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall’ombra”. Dal libro e dalle sue dichiarazioni è emerso che qualcuno, fuori dalle Br, voleva la morte di Aldo Moro. La morte del capo della Dc sarebbe servita a destabilizzare le Brigate rosse. C’era il timore che i disordini  e le manifestazioni di quegli anni avrebbero potuto minare il potere della Democrazia Cristiana.

“Moro sacrificato per destabilizzare le Br”

Era forte la paura che i comunisti arrivassero al potere. E questo, secondo quanto raccontato da Pieczenik in una intervista rilasciata a Giovanni Minoli, avrebbe causato “un effetto valanga”. “Gli italiani non avrebbero più controllato la situazione e gli americani avevano un preciso interesse in merito alla sicurezza nazionale. Mi domandai qual era il centro di gravità che al di là di tutto fosse necessario per stabilizzare l’Italia. A mio giudizio quel centro di gravità si sarebbe creato sacrificando Aldo Moro”. Insomma Moro sarebbe stato sacrificato per destabilizzare le Brigate Rosse. L’operazione della quale “l’amerikano” faceva parte ebbe il compito di portare la situazione all’esasperazione: far crescere la tensione per mettere spalle al muro le Br. Per loro nessuna via d’uscita se non quella di uccidere il capo della Dc. Pieczenik rivela: “Fino alla fine ho avuto paura che lo liberassero. Per loro sarebbe stata una grande vittoria”.

Caso Moro, il ruolo del colonnello del Sismi Camillo Guglielmi

Rientrerebbe tra gli indagati, se fosse ancora vivo, il colonnello del Sismi Camillo Guglielmi che quel 9 maggio si trovava inspiegabilmente in via Fani. Secondo il pg Ciampoli nei suoi confronti sarebbe potuta scattare l’accusa per concorso nel rapimento di Aldo Moro e nell’uccisione degli uomini della sua scorta. È stato poi nuovamente sentito dai magistrati l’ingegner Marini, che di quel 9 maggio è testimone. Addirittura quella mattina rischiò di essere colpito dagli spari esplosi dai misteriosi uomini sulla Honda. A casa sua è stato rinvenuto un baldacchino che sarebbe servito per intercettare  e tenere sotto controllo il suo telefono. Marini aveva ricevuto minacce in seguito all’accaduto.

L'autore: Felice Tommasino

Classe 1991, cilentano. Laureando in Editoria e Pubblicistica all'Università degli Studi di Salerno. Su Twitter @felicetommasino
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