La Svizzera terrorizza i mercati e giovedì tocca alla BCE

Pubblicato il 20 Gennaio 2015 alle 12:13 Autore: Giovanni De Mizio

È un periodo decisamente non adatto ai deboli di cuore: il termometro finanziario della settimana è senza dubbio il Dax tedesco, protagonista di un’escursione “termica” impressionante. Dopo aver toccato un minimo sotto i 9600 punti giovedì mattina e aver recuperato i diecimila nel pomeriggio, il benchmark tedesco ha segnato nuovi massimi assoluti, giunti nella serata di venerdì sopra quota 10300. Una simile volatilità non è indice di salute per il sentiment, che infatti sconta eventi molto importanti (sia passati che futuri): quello dell’ultima settimana si chiama Svizzera.

Nel 2011, all’alba della cosiddetta guerra delle valute, la Banca Nazionale Svizzera prese una decisione molto forte: impedire che il cambio non scendesse sotto quota 1,20 franchi per un euro. In pratica impediva la rivalutazione del franco per evitare che le esportazioni (che sono il 70% del PIL) venissero colpite. Ma da cosa?

Gordon Gekko, in Wall Street 2, affermava di aver messo al sicuro del denaro in Svizzera negli anni Ottanta, dicendo di essere un tipo “all’antica”: in trent’anni (e più) la tradizione non è cambiata, e con la crisi economica degli ultimi anni chi ha potuto ha portato i soldi in un porto sicuro (safe haven) come la Svizzera. Di recente sono stati i russi a portare i soldi sulle Alpi, prima per la crisi cipriota poi a causa delle sanzioni relativa alla crisi ucraina. Ma prima ancora di questi eventi il franco aveva raggiunto la parità con l’euro: da qui la decisione di porre un limite inferiore “invalicabile”.

Poi c’è la questione carry trade con il franco svizzero: si prende in prestito valuta elvetica a basso costo e si investe in titoli a maggiore rendimento. Un metodo di fare soldi facile e sicuro grazie all’aggancio con l’euro che escludeva problemi con il cambio. Finché funzionava.

La festa è finita giovedì: crollato il floor, il franco si è apprezzato nel giro di secondi quanto di regola si è apprezzato nel giro di anni. Le valute non si muovono mai così tanto in così poco tempo. Men che meno il franco svizzero. I guadagni da carry trade degli ultimi anni sono spariti in uno schiocco di dita, portandosi dietro perdite per milioni (a carico delle istituzioni finanziarie e dei loro clienti) e affondando (per ora) due broker di fama internazionale, oltre ad un celebre hedge fund.

Le conseguenze si faranno sentire lontano: chi ha preso a prestito in franchi (specie nell’Europa dell’Est) si è ritrovato con un debito cresciuto nella propria valuta di un 15% letteralmente dall’oggi al domani; la stessa banca centrale svizzera ha accusato perdite ingenti (per quanto ammortizzate dai profitti degli anni precedenti), mentre l’economia svizzera rischia di affondare nella deflazione. Insieme a buona parte del globo, peraltro.

La Svizzera ha dunque gettato la spugna, concludendo una fase della guerra delle valute nella quale, in pratica, tutte le monete si deprezzavano e l’euro si rafforzava grazie (anche) alla SNB che vendeva franchi per comprare euro. Adesso però questo gioco rischiava di diventare troppo costoso. La settimana entrante è (forse) quella del quantitative easing della Banca Centrale Europea, che Draghi userà per inondare i mercati di euro nella speranza di evitare all’Europa di entrare nella spirale deflazionistica in cui sempre più Paesi rischiano di avvitarsi.

I mercati si aspettano piani di acquisto per almeno 500 miliardi, con tempi e modalità da definire, ma potrebbero essere scottati dalla delusione: negli ultimi anni Draghi ha parlato molto ma fatto poco, e gli investitori, scottati dall’ennesima misura insufficiente, potrebbero definitivamente perdere fiducia nella BCE, così come l’hanno probabilmente persa nella SNB.

Settimana “breve” per via della festività USA di lunedì ma comunque intensa. Martedì ilPIL cinese dovrebbe registrare una “frenatina” dal 7,3 al 7,2% annuo. L’indice ZEW che misura la fiducia degli investitori istituzionali tedeschi è atteso in aumento da 34 a 40 punti.

Giovedì ordini all’industria italiana attesi persistentemente fermi, come pure le vendite al dettaglio: l’Italia potrebbe anche uscire dalla recessione, insomma, ma la stagnazione non sembra volersene andare. Poco dopo pranzo sarà l’ora della BCE.

Venerdì giornata di indici dei direttori degli acquisti: si attendono letture lievemente espansive in Europa, più forti per gli USA e llievemente recessive per la Cina. Domenica si terranno le elezioni in Grecia.