Sergio Mattarella: da “capolavoro politico” a “scelta obbligata”

Pubblicato il 1 Febbraio 2015 alle 10:48 Autore: Livio Ricciardelli
sergio mattarella

La scelta da parte di Renzi di individuare Sergio Mattarella come candidato del fronte democratico alla Presidenza della Repubblica nasce da un presupposto: per il premier sarebbe stato più difficile tenere uniti i grandi elettori Pd rispetto a quelli di Forza Italia. Se si fosse sfaldata la pattuglia dem il capo del governo sarebbe finito in cul de sac tra franchi tiratori e reputazioni compromesse.

In questo senso la scelta di Mattarella più che un “capolavoro politico” da parte del premier risulta essere una “scelta obbligata”.

Il giudice costituzionale infatti risulta avere un profilo non molto dissimile da quello di Giorgio Napolitano, se escludiamo ovviamente la matrice politica cristiano-democratica.

Da tempo fuori della politica attiva, riserva delle istituzioni, difficilmente sarebbe stata una figura divisiva. Molti neo-eletti non hanno avuto modo di conoscerlo (del resto, molti non seguono la politica), i vecchi popolari si riconoscono nella sua tradizione politica mentre il fronte ex Ds e di marca dalemiana non dimentica il ruolo fondamentale che il Ppi ebbe nella tenuta del governo D’Alema e quando lo stesso ex premier lo propose come primo capogruppo del Pd a Montecitorio contro Antonello Soro a seguito delle dimissioni di Dario Franceschini (eletto vicesegretario del partito).

In questo senso l’elezione presidenziale di questi giorni non solo ricorda nella modalità il precedente del 2006, ma anche nella personalità proposta. Mai scordarsi che 9 anni fa il Colle più alto spettava ai Ds. E che il candidato ufficiale era D’Alema. Ma colta l’indisponibilità del centrodestra a sostenerlo si propose una personalità dalla storia politica analoga ma da tempo fuori dai giochi. Giorgio Napolitano, appunto.

Dando al centrodestra il tempo fino alla quarta votazione per cambiare idea e sostenerlo. Anche oggi, come allora, Berlusconi non ha cambiato idea e ha deciso di non sostenere il candidato del centrosinistra.

Forse quello che può essere considerato sì un capolavoro politico da parte di Renzi è l’opera di persuasione nei confronti di Alfano. Perché in effetti il “fronte Ppe” sembrava solido e cimentato da lunghe e numerose riunioni tra l’ex Cavaliere e l’ex delfino. In questo modo si è diviso ulteriormente il fronte di centrodestra che difficilmente riuscirà a ricompattarsi politicamente da qui a breve. In uno schema in cui, secondo la legge elettorale da poco passata al Senato, il premio di maggioranza non va alla coalizione bensì alla lista.

Ora Forza Italia, anche se presumibilmente non c’era il tema del Quirinale nel Patto del Nazareno, rivedrà seriamente la sua posizione nei confronti del governo dando vita ad una linea più barricadiera. Ma l’unico fronte dove potrà dare veramente fastidio è quella della riforma istituzionale quando dovrà ripassare in Senato alla seconda lettura.

Con l’elezione del primo Presidente della Repubblica siciliano dunque si ricompatta il Pd attraverso una scelta ponderata. Quella che mancò nel 2013 quando Bersani fece l’errore di puntare sia sulla prima votazione sia su una terna di nomi da proporre a Berlusconi. Che ovviamente decise la candidatura più divisiva per il Pd.

E’ curioso come l’esponente politico forse più demonizzato della storia del centrosinistra sia riuscito nella maniera più egregia a garantire l’unità del partito, la solidità delle istituzioni e difficoltà al fronte a lui avverso al tempo stesso.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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