Decreto Salva-Ilva: ritorno ad una politica interventista?

Pubblicato il 3 Marzo 2015 alle 19:06 Autore: Leonardo Cecchi
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Ilva, approvato in via definitiva il decreto legge contente misure urgenti per un impianto siderurgico considerato di importanza strategica nazionale, quello tarantino. Il finanziamento volto a rispondere a questa urgenza ammonta a circa 2 miliardi di euro, di cui 1,2 facenti parte del denaro precedentemente sequestrato alla famiglia Riva, ex azionista di riferimento dell’industria, ed i restanti suddivisi tra finanziamenti, effettivi e potenziali, di varia origine (400 a garanzia di Stato, 156 della Fintecna e 150 dalla Cdp). Il denaro, stando alle indicazioni, dovrà servire all’amministrazione straordinaria sia per gestire la quotidianità  dell’impianto (dunque anche gli stipendi dei dipendenti, che fino a poco tempo fa erano nettamente a rischio) sia per attuare un piano di risanamento.

Ilva, ecco le novità del decreto

Le novità del decreto però non riguardano soltanto l’impianto Ilva in sé e per sé, ma anche ciò orbita attorno ad esso. Molto positiva è infatti la destinazione di 35 milioni di euro del Fondo di garanzia alle Pmi fornitrici dell’Ilva, nonché a quelle che nel corso di questi ultimi anni si sono adoperate per un risanamento ambientale della zona, che come sappiamo è discretamente compromessa a causa dei lunghi di attività dell’impianto, ancora oggi il più grande d’Europa. A questo si aggiunge poi un piccolo ritocco in materia squisitamente fiscale, che prevede lo stop temporaneo di cartelle esattoriali e tributi erariali fino al 20 dicembre del prossimo anno, andando così a dare respiro alle piccole e medie realtà legate all’Ilva, e che da essa dipendono.

Per tornare sulla questione ambientale, fa piacere sapere che tra i milioni di euro destinati alla ripresa dell’attività economica se ne scovano 5 destinati alla regione Puglia (0,5 nel 2015 e 4,5 nel 2016) per una più efficace lotta ai tumori, specialmente quelli infantili. Certo il budget è in quest’ultimo caso abbastanza ridotto, ma è comunque un inizio, e rappresenta una sia pur timida azione concreta verso un problema di salute che troppe volte non è stato preso in considerazione con la dovuta importanza.

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Ilva, ritorno all’intervento statale?

Il caso Ilva, specialmente alla luce di questo decreto, rappresenta un ritorno della partecipazione pubblica nelle grandi imprese del Paese che segna un punto di svolta (se concettualmente temporaneo e totalmente straordinario o se definitivo ed ordinario è ancora da capirsi) nella fase politico-economica che ha attraversato l’Italia dal crollo della vecchia Repubblica, e che ha visto nascere, crescere e prosperare una vivacissima politica economica di stampo liberista (tra l’altro incredibilmente trasversale alle aree partitiche)  volta per lo più allo smantellamento dell’eredità IRI e delle società pubbliche. La recente crisi economico-finanziaria deve aver evidentemente messo in luce le criticità di questo sistema di gestione (o per meglio dire di non gestione) su un impianto economico-culturale (la cultura economica di un paese e della sua popolazione è un aspetto fortunatamente indirizzante le scelte macroeconomiche, che filtra, valuta ed infine integra o espelle) che, alla lunga, ha dato segni di parziale rigetto, portando oggi il potere politico ad sia pur ridotto interventismo di stato.

Per concludere, la speranza è che questo decreto, oltre che a mettere in condizioni l’Ilva di tornare ad essere realtà produttiva (e c’è da dirlo: questo provvedimento fornisce tutti gli strumenti adatti, ciò è indubbio) e competitiva, non finisca per trasformarsi da salva-Ilva a salva-privati, dimostrandosi poco più che una misura straordinaria per ridare in pasto un gioiello industriale italiano a realtà private (nostrane o forestiere poco importa) che, a causa della prese di coscienza di una molteplicità di fattori esterni ed interni cronicamente svantaggiosi per quell’impianto (abbassamento del costo dell’acciaio, feroce concorrenza dei paesi in via di sviluppo, pressione fiscale ecc…), potrebbero decidere di dedicarsi anima a corpo a quella tanto disdicevole quanto criminale pratica di spolpamento di un’azienda appena rimpolpata con i soldi dei contribuenti, facendo tornare Taranto ad un proverbiale da capo a dodici.