Lega Nord: Salvini, Tosi e il cambio di paradigma

Pubblicato il 9 Marzo 2015 alle 15:12 Autore: Livio Ricciardelli

Abbiamo parlato varie volte della mutazione genetica impressa da Matteo Salvini alla Lega Nord. Una svolta capace di cambiare radicalmente il volto del Carroccio, passato dall’essere un movimento autonomista e liberale (nella misura in cui criticava il centralismo statale impersonificato dalla capitale d’Italia) a soggetto politico dalla tintura sociale e nazionale. La svolta probabilmente è stata impressa da una sorta di shock psicologico che in tanti tendono a sottovalutare: quello che ha contrapposto Salvini al padre-padrone della Lega Umberto Bossi alle primarie del 2013.

La sconfitta del fondatore del Carroccio, tornato “alla ribalta” dopo la breve stagione maroniana, tuttora nel linguaggio simbolico leghista assume la fisionomia della legittimità di una svolta. Della possibilità di cogliere il vento della protesta anti-euro ed anti-Europa che soffia nel Vecchio Continente. Questo shock psicologico avrà pure rottamato gran parte dell’armamentario del passato leghista ma non ha sciolti alcuni nodi che in questi giorni stanno venendo al pettine: quello delle leadership alternative a Salvini. E quando si parla di leadership alternative non ci si può riferire alla querelle legata al sindaco di Verona Flavio Tosi.

Salvini e Tosi, fedelissimi di Maroni

Salvini e Tosi ebbero un ruolo fondamentale nel 2012 nell’avviare la fase post-bossiana: dopo la manifestazione delle ramazze nel bergamasco e dopo le dimissioni dalla segreteria federale di Umberto Bossi (con la conseguente nascita del triumvirato) Roberto Maroni si pose come il leader per la ripartenza. In questo quadro di congresso totale e permanente i due capisaldi su cui si poggiò la campagna congressuale di Maroni furono Salvini, candidato alla segreteria nazionale della Lega Lombardia, e Tosi, candidato segretario nazionale della Liga Veneta.

Già in questo frangente si delinearono due dinamiche molto diverse legate al destino di Salvini e Tosi, tanto che per alcuni le divergenze emerse in queste ore in realtà hanno le proprie prove generali in quella fase congressuale. Perché in un quadro in cui sostanzialmente lo scontro era tra gli allora “barbari sognanti” di fede maronita e sodali del “cerchio magico” di marca bossiana, Salvini si contese la segreteria lombarda contro il bossiano Cesarino Monti, mentre Tosi sfidò l’allora sindaco di Cittadella (futuro presidente dei senatori leghisti e futuro sindaco di Padova) Massimo Bitonci.

salvini maroni lega

Salvini ottenne l’80% dei voti. Tosi il 57%. Un distacco notevole che lanciava un messaggio politico: la Liga Veneta era una formazione politica nata ben prima della Lega Lombarda bossiana. Al tempo stesso, secondo alcuni storici del federalismo, risultava essere un movimento ben più legittimato rispetto alla sua branca lombarda a chiedere maggiori gradi di autonomia. Insomma: uno stato speciale per il Veneto sarebbe pure possibile, ma per la Lombardia assolutamente no.

La grandezza politica di Bossi (che a dire il vero sfruttò anche le debolezze in casa venetista e le diatribe nepotiste dell’allora leader Rocchetta) stava nell’aver costituito un movimento politico autonomista in cui i lombardi (anzi: il lombardo, cioè lui) risultava essere il garante dei veneti. Che di conseguenza ne accettavano la leadership. Al di fuori di qualsiasi comparazione elettorale tra le due regioni e al di sopra di qualsiasi linea di frattura città/campagne (Lombardia/Veneto?). Dopo 23 anni di segreteria, non era scontata la continuazione di questo tacito patto.

Oggi Tosi si trova a rivendicare autonomia per quanto riguarda le liste elettorali della Liga in Veneto. Ha ragione. Ma il suo messaggio autonomista avrebbe assunto maggior forza se si fosse fatto sentire prima della fase ascendete del salvinismo imperante, in cui le istanze federaliste perdono sempre più terreno. Da questo punto di vista le rimostranze di Tosi non solo fuori tempo massimo, ma probabilmente anche sbagliate politicamente. Perché non è credibile per il segretario nazionale della Liga Veneta proporre delle proprie liste civiche in sostegno al candidato Zaia. Una cosa sono le civiche in sostegno alla tua candidatura, un’altra le tue liste di cittadini in sostegno ad un altro candidato finalizzate a togliere voti al partito politico…di cui sei segretario!

A Salvini non c’è alternativa

In questo senso l’unica vera leadership alternativa a Salvini sembra tramontare. E le istanze della Lega di Salvini saranno col tempo così poco sensibili ai territori che non è esclusa di fatto una leadership assoluta da parte dell’europarlamentare del Carroccio. Ci si avvicina forse ad una fase “alla Rifondazione”, in cui gradualmente della Lega si conosceranno sempre meno i gruppi dirigente intermedi, e sempre di più il suo leader assoluto. Che tra l’altro ogni giorno è in tv.

Un’occasione. Ma anche un rischio. Perché se in un futuro non molto lontano, e la politica italiana ci regala di questi pregi, Salvini dovesse finire politicamente…bè, a quel punto verrebbe meno anche il Carroccio. Un tempo la Lega come capigruppo alla Camera ed al Senato indicava Maroni e Castelli. Ora Fedriga e Centinaio. Qualcosa vorrà pur dire.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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