Berlusconi, Partito repubblicano a chi?

Pubblicato il 12 Maggio 2015 alle 20:32 Autore: Gabriele Maestri

L’idea non è nuova, Silvio Berlusconi negli anni l’ha detto più volte: “i moderati, dal 1948 a oggi, non hanno ancora imparato a votare”. Da un po’ di tempo a questa parte, la soluzione per l’ex Cav ha un nome e un modello preciso: il Partito repubblicano, quello americano naturalmente, quello del suo American Friend George Bush.

Partito repubblicano

Partito repubblicano: bozzetto di Affari Italiani

In questi giorni, in realtà, i media si sono occupati soprattutto di altro e oggi si scrive ancora del tracollo forzista ad Aosta e in Trentino – Alto Adige, ma Berlusconi – che di idee di partiti nuovi ne aveva già lanciate diverse, dal Partito della Libertà (già opzionato dai liberali di Raffaello Morelli) a Italia, per non parlare dell’improbabile Forza Gnocca – ci ha preso gusto e qualcuno deve avere seriamente continuato a lavorare sull’idea del Partito repubblicano: lo testimonierebbe il bozzetto di simbolo che circolerebbe nell’entourage berlusconiano e che Affari italiani ha pubblicato ieri.

Si parla di “fonti vicinissime all’ex premier” che etichettano l’idea del partito repubblicano come possibile “ultima mossa di Berlusconi prima di fare un passo indietro e di abbandonare, gradualmente, la vita politica”. Persino la batosta dell’ultimo turno elettorale e il probabile bis alle regionali di fine mese potrebbero aiutare a formattare tutto e a ripartire con un marchio nuovo. Di problemi, però, Berlusconi ne ha almeno due più uno.

salvini partito repubblicano

Il primo è strategico: l’idea del Partito repubblicano non piace quasi a nessuno dei soggetti politici che potrebbero o dovrebbero farne parte. Quella sigla dovrebbe riuscire a unire sotto un’unica insegna tutto il centrodestra più o meno moderato (nessuno schema a più punte sarebbe efficace, vigente l’Italicum), ma l’entusiasmo scarseggia. Tra Matteo Salvini che precisa “Io non mi sciolgo in niente”, Giorgia Meloni che si dichiara contraria alle “ammucchiate”, come probabilmente era il Popolo delle libertà (“un minestrone indigeribile e l’ennesima presa in giro nei confronti degli italiani”, per giunta senza le primarie americane) e l’ex Fi (e ora Ncd) Cicchitto che bolla l’operazione come “partito monarchico”, di interessati se ne vedono pochini (c’è il “vedremo” di Alfano, ma … tutto qui?).

Il secondo problema è giuridico e, per ora, ha un nome e un cognome: Francesco Nucara, segretario del Partito repubblicano italiano. Prima La Voce Repubblicana aveva commentato con una battuta (fino a un certo punto) l’uscita di Berlusconi: “Se Berlusconi volesse iscriversi al Pri ne saremmo davvero felici”, suggerendo però di utilizzare per un nuovo partito la dicitura “conservatore”, visto che i repubblicani americani “hanno una componente etico religiosa puritana più severa di quella che vige nel mondo cattolico e che potrebbe essere indigesta a Berlusconi”. Oggi, in compenso, Nucara esce allo scoperto in un’intervista sul Tempo e parla chiaro sul progetto di Berlusconi: “Adesso lui può dire ciò che vuole. Ma se, un domani, dovessero essere depositati in vista delle elezioni due simboli del partito repubblicano, il ministero dell’interno non concederebbe mai una cosa del genere. Anche se Berlusconi togliesse l’edera nel simbolo e lasciasse solo il nome, comunque ci sarebbe il rischio di confondere gli elettori”.

partito repubblicano pri mre repubblicani europei

Nucara difende il partito di cui è segretario e cita il caso del Movimento dei repubblicani europei (Mre), fuoriusciti nel 2001 con Luciana Sbarbati, che “disegnarono nel simbolo più di una foglia d’edera. Facemmo causa e la vincemmo noi”. Nucara, in realtà, commette almeno due errori, e non piccoli. Innanzitutto, forse non sa che proprio il Ministero dell’interno nel 2001 ha concesso eccome, ammettendo in quell’anno tanto il simbolo del Pri, quanto quello dei Repubblicani europei, con la parola in vista e il tralcio di foglie d’edera (identiche a quella stencil dei successori di Spadolini). Secondariamente, dimentica di dire che la causa con il Mre non l’aveva vinta in pieno il Pri: ebbe anzi torto completo nella prima ordinanza a luglio del 2005, mentre in sede di reclamo a gennaio del 2006 il tribunale di Roma ritenne confusorio solo l’accostamento tra l’aggettivo “repubblicano” e le foglie d’edera e lo inibì al Mre (e ai Repubblicani democratici di Ossorio), consentendo invece la scelta alternativa tra le foglie e la parola. Anche Berlusconi, dunque, se volesse inserirsi nel filone repubblicano, potrebbe scegliere uno dei due elementi, senza che un tribunale o un ufficio elettorale possa dirgli “no”. Anche se la fine numerica del Pri potrebbe non essere un ottimo viatico.

Partitu du pilu partito repubblicano

E il terzo problema? Al momento è soprattutto estetico, perché il bozzetto circolato è pressoché inguardabile e dall’efficacia grafica bassissima (oltre a non avere alcun riferimento identitario, ma quale dei simboli creati negli ultimi anni può dire di possederlo o renderlo riconoscibile?). Tra l’altro, sia pure a scelte cromatiche invertite, all’occhio attento il bozzetto ricorda un po’ l’emblema disegnato a suo tempo per il film Qualunquemente, a sostegno della campagna elettorale improbabile e pacchiana di Cetto La Qualunque. Nessuno vuole dissacrare nulla, ci mancherebbe, ma al momento spunti positivi in questo progetto di Partito repubblicano è davvero difficile trovarne…

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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