Egitto: il rafforzamento della “Repubblica degli ufficiali”

Pubblicato il 25 Giugno 2015 alle 12:30 Autore: Mediterranean Affairs

(in collaborazione con Mediterranean Affairs)

Egitto: l’inizio di quest’anno ha segnato un’importante ricorrenza per i cittadini del mondo arabo, che hanno celebrato il quarto anniversario della rivoluzione popolare del 2011. Con parole di celebrazione malinconiche, gli ex-manifestanti egiziani di Piazza Tahrir hanno rievocato quelle giornate gloriose, comparandole con delusione all’attuale situazione che caratterizza l’intero mondo arabo.

Egitto: il potere dell’esercito

Prestando la nostra attenzione al caso particolare dell’Egitto, si evidenzia che, se l’11 febbraio 2011, dopo soli 18 giorni di proteste, la massiccia onda anomala generata dalla società civile era riuscita a spodestare il decennale presidente Mubarak, tanto da segnare un’importante tappa negli annali della storia del Medio Oriente e del Nord Africa, la stessa non era stata in grado di sponsorizzare e garantire un sostanziale cambiamento democratico.

Infatti, per quanto le proteste popolari siano state uno dei primi veri tentativi nel contesto regionale di movimento dal basso verso l’alto, è importante notare che non si ha avuto a che fare con un movimento popolare organizzato, che avesse una guida politica, un rappresentante, una strategia di lungo termine e un’ideologia unificante.

Senza dubbio, questo errore di tattica nell’iniziativa civile si annovera tra uno dei principali fattori che ne hanno segnato il fallimento. Un altro motivo fondamentale che ha fatto abortire il tentativo di cambiamento risiede nello smisurato, ma ben camuffato, potere dell’esercito.

Egitto: da Nasser a Mubarak

Sin dalla presidenza del generale Gamal Abd al-Nasser, il trono del potere aveva assunto una connotazione piuttosto militaresca. È infatti sotto la sua egida che il Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF) aveva trovato i natali. Per non parlare di quanto, dal 1991, le Forze Armate Egiziane (EAF) si fossero infiltrate in qualunque potenziale insenatura di quello che era diventato il sistema clientelistico di Hosni Mubarak.

Nel corso della sua presidenza, i militari, erano riusciti a penetrare la macchina statale, ottenendo il controllo più o meno sostanziale di gran parte delle pubbliche amministrazioni. Di conseguenza, una volta spodestato Mubarak, il Consiglio Supremo si era presentato quale erede naturale al trono. “L’esercito e la popolazione mano nella mano”, cantavano i cittadini per le strade una volta che i militari avevano assunto il potere del governo transitorio.

Sfortunatamente, lo sviluppo che ne era scaturito difficilmente poteva essere definito transitorio. Il potere dell’esercito si era accresciuto, aveva guadagnato il controllo nella stesura della carta costituzionale, esercitando pieni poteri esecutivi e legislativi. Anche la figura del presidente eletto e acclamato dal pubblico, Muhamad Morsi, si era rivelata un fantoccio nelle mani dello SCAF.

egitto

 

Egitto: Morsi e i Fratelli Musulmani

Infatti, nonostante i Fratelli Musulmani avessero cercato una riconciliazione con i servizi di sicurezza, di intelligence e di difesa, non erano riusciti a farne un uso autonomo per i loro scopi; non solo non erano riusciti a direzionarli verso i loro nemici interni, piuttosto erano rimasti imprigionati nello scontro Islamisti-non Islamisti. La repubblica dei generali sopravviveva nel sostrato della presidenza della Fratellanza Musulmana, e le proteste del 30 giugno 2013, contro il presidente in carica, furono un mero pretesto per un nuovo intervento dell’esercito, per riconsegnare il potere nelle sue mani, e stritolare in queste un altro tentativo di cambiamento.

Percorrendo un sentiero molto simile a quello di due anni prima, l’esercito deteneva il controllo dell’arena politica durante il governo di transizione di Adly Mansour. E non solo. Questa volta era stato così strategicamente – e con successo – calcolatore, da promuovere la candidatura del Generale Abd al-Fattah al-Sisi, ex Ministro delle Difesa. Il 28 maggio 2014 vince la presidenza dell’Egitto con un sorpredente – quanto non democratico – 96,91% delle preferenze totali.

Egitto: un anno di Al Sisi

Da poco dunque, il Generale ha celebrato il suo primo anno da Presidente in carica. Tentando di fare una stima del suo operato, appare evidente come la morsa del controllo dall’alto verso il basso si sia stretta sempre di più. Per quanto concerne le libertà di associazione, di espressione, l’attivismo dei lavoratori e della società civile, sono stati fatti soltanto enormi passi indietro. Dalla fine della presidenza Morsi, circa mille persone sono state uccise e decine di migliaia condannate alla prigione, perché Islamisti o appartenenti a gruppi di sinistra. Più recentemente, è arrivata anche la condanna a morte di Morsi, da parte di una corte egiziana.

I numeri aiutano a comprendere meglio il peso che l’esercito riveste nel contesto politico e sociale del Paese. 17, dei 27 governatori provinciali sono Generali e 24 Generali rivestono le cariche di deputati, segretari generali o assistenti segretari generali.

In aggiunta a ciò, i militari hanno anche guadagnato un controllo parecchio invasivo sulla gestione delle infrastrutture: una delle più importanti leggi di sicurezza che al Sisi ha fatto emanare nomina infatti i militari quali protettori e garanti delle maggiori infrastrutture del Paese. Questo provvedimento non fa altro che stringere i legami tra gli uomini d’affari e i membri dell’esercito, e oltretutto mettere nelle mani di questi ultimi gli investimenti provenienti dall’estero – in primis dagli Stati Uniti.

L’esercito vede il suo ruolo rafforzato anche dall’imperativo della sicurezza e dall’urgenza che il Paese ha nel far fronte alla minaccia terroristica dei gruppi militanti nella penisola del Sinai.

E fino a quando la priorità sarà data al rafforzamento della fortezza statale, piuttosto che alle prerogative e ai bisogni dei singoli membri della società civile, il movimento popolare, per quanto energetico e ben organizzato, non potrà trovare spazio per proporre e abilitare il cambiamento. E l’Egitto continuerà a rafforzare la sua identità di “Repubblica degli Ufficiali”.

Giulia Formichetti

(Mediterranean Affairs – Contributing editor)

L'autore: Mediterranean Affairs

Mediterranean Affairs è un centro di ricerca che mira a fornire analisi riguardanti l’area mediterranea. Svolgendo approfondite ricerche, lo staff affronta le varie tematiche di politica internazionale incentrate sulla difesa e la sicurezza, la stabilità regionale, e le sfide transnazionali come l’integrazione economica.
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