Ecco perché Tsipras sta abdicando al suo ruolo di leader

Pubblicato il 28 Giugno 2015 alle 18:36 Autore: Gianluca Borrelli
alexis tsipras referendum

Sul caso “grexit” siamo alle battute finali. L’ultimo colpo di teatro in ordine di tempo è la proposta di un referendum (che dovrebbe tenersi il 5 luglio in Grecia) sul se accettare o no le richieste della comunità europea al popolo greco.

Il merito economico della questione esula da questa riflessione, pertanto niente grafici (che useremo con grande dettaglio nei prossimi approfondimenti), ma solo una pura e semplice riflessione politica.

Quello che sta avvenendo è del tutto inusuale, anche perché di referendum così importanti, per una decisione prettamente economica, indetti e tenuti nel giro di sette giorni, non se ne sono visti tanti nella storia occidentale, c’è anche il dubbio se sia legittimo o meno indirlo in questo modo.

Non stiamo parlando di una guerra o di una secessione, stiamo parlando di scelte economiche e di valuta. Qualcuno parla di austerità ma ci sarebbe da chiedersi con che coraggio si parli di austerità quando il bilancio dello stato è sistematicamente in rosso ogni anno da molti anni. Può mai essere definito austero uno che da sempre spende più di quanto guadagna?
Per qualcuno sì. Per quanto assurda sia questa definizione, assolutamente difforme dal senso stesso delle parole usate, molti media e molte persone usano questo frame narrativo, e con questi bisogna fare i conti.

La riflessione nasce quindi dalla incapacità di assunzione di responsabilità da parte del governo greco.
Delle due l’una: o il governo greco è convinto che comunità europea abbia ragione e quindi  sta mentendo al suo popolo e lo sta portando nella direzione sbagliata, oppure è convinto di avere ragione e quindi deve esplicare il proprio mandato portando avanti il proprio programma senza bisogno di chiedere il permesso, avendolo già avuto alle elezioni di pochi mesi fa – tra l’altro ottenendo 149 seggi su 300 col solo 36% di voti e con una affluenza del 64%, quindi con il voto di meno di 1/4 degli aventi diritto.
Lo ricordiamo a quelli che parlano di scarsa legittimazione popolare in Italia in caso di affluenza bassa, ma che poi inneggiano sui social e sui media alla grande vittoria democratica di Tsipras – che il resto d’Europa deve rispettare al punto da farne dipendere anche le decisioni economiche di altri paesi.
Da dove arrivino questi soldi e chi abbia lavorato per creare le ricchezze elargite per loro non ha alcuna importanza, la “democrazia” viene prima di tutto, quindi il voto greco va rispettato, secondo costoro, qualunque sia la sua richiesta e chiunque debba poi pagare il conto delle decisioni del popolo greco.
Noi saremmo portati a pensare piuttosto che una decisione del genere sarebbe da sottoporre a tutti gli europei (che dovranno metterci i soldi nei prossimi anni) piuttosto che solo ai greci.
Ognuno se ne faccia la propria opinione in merito.

Tornando invece all’argomento del giorno, il punto politico è questo: Tsipras così facendo abdica al ruolo di leader del suo paese, scaricando sul popolo l’onere di una decisione che non è capace di prendere da solo. Se è convinto, come dice, di voler uscire dalla comunità europea per mantenere il regime di spesa pubblica a fronte delle scarse entrate, allora deve dare l’ordine ai suoi di abbandonare la grossa nave europea in questo momento di tempesta e fare salire il suo popolo sulla piccola scialuppa della dracma, prendere il comando del timone, sperando di portare il proprio popolo in acque più sicure.

Tsipras ha paura di assumersi questa responsabilità in prima persona in caso di naufragio definitivo, quindi col referendum potrà dire che non è stato lui a commettere questo errore fatale ma il popolo greco, in piena coscienza, e che quindi è stato un tragico errore di tutti. Tutti colpevoli, nessun colpevole.

Ma più probabilmente spera che il popolo lo sconfessi e faccia ciò che è giusto al suo posto. In questo modo il premier greco potrà dire di non aver mancato alle sue promesse elettorali, visto che è stato il popolo greco a decidere in autonomia, in base alla medesima logica con la quale Bertinotti si vantava di non aver mai firmato un accordo sindacale (al momento della firma lui non si faceva trovare), o con cui qualche parlamentare usciva dall’aula per non votare contro il governo del proprio partito alle questioni di fiducia.
In questo modo Tsipras potrà dire “non sono stato io” e lavarsene le mani una volta che il popolo fosse chiamato a fare sacrifici.

Ma qualora il popolo, a maggioranza, sconfessasse la linea politica fondamentale di negoziato con la comunità europea, tenuta finora da Tsipras e dal suo governo, non ci sarebbe altro da fare per il governo greco che dimettersi in quanto palesemente non più in sintonia con la volontà del proprio popolo e quindi non più in grado di rappresentarlo.

Da questa evidenza non si scappa. Se il referendum sancirà una vittoria del sì alle richieste della comunità europea (ammesso che quest’ultima conceda altri 7 giorni di tempo, e non sembra essere il caso), Tsipras dovrà trarne le conseguenze e dimettersi.

Altra cosa da dire a chiare lettere, è che se questa è la situazione – e lui la conosceva bene – il referendum avrebbe dovuto tenerlo prima. In questo modo ha dato solo l’impressione di aver tirato fino all’ultimo un enorme bluff con le istituzioni europee sperando di averla vinta all’ultimo secondo.

Non è che una settimana fa non sapesse come stavano le cose: lo sapeva eccome. E se un referendum si può organizzare in una settimana, allora avrebbe dovuto fare in modo che avvenisse oggi e non fra sette giorni, a data di pagamento scaduta. Anche in questo si vede l’incapacità di programmazione e l’improvvisazione di un politico che è tutto tranne che un leader.

In Italia si chiedono le dimissioni di chiunque per qualsiasi motivo, basta un gruppetto di persone che protestano davanti a un ministero, o peggio ultimamente persino qualche “tweet”per fare invocare le dimissioni da parte di media e giornali di parte (e questo è un argomento sul quale torneremo certamente), ma poi quelle stesse persone, che per i nostri governanti non fanno sconti nemmeno per una inezia, saranno le prime a dire sui social “bravo Tsipras! Avanti così!”.

Avanti dove, se la direzione anziché darla in prima persona la lascia al proprio popolo che ora più che mai ha bisogno di una guida?

grecia

Tifosi di politica sul web guardano con simpatia a Tsipras come ad un calciatore di una squadra alla quale sono affezionati, la squadra che combatte contro le multinazionali, contro le banche cattive eccetera (ma poi a queste chiede altri soldi, non è ben chiaro a quale titolo). E il tifo, si sa, acceca.
Per fare capire ai tifosi la questione con un linguaggio per loro comprensibile, diremo che il capitano e bomber della squadra non ha voluto tirare il rigore decisivo e ha delegato qualcun altro a farlo.
Sia che le cose si metteranno a posto sia che non si metteranno a posto, quello che accadrà non sarà in alcun modo legato all’azione di Tsipras, che con questo referendum sancisce la propria azione politica come completamente inutile e le sue schermaglie con la comunità europea di questi ultimi mesi come una perdita di tempo dietro a un bluff malriuscito. La comunità europea è andata a vedere le carte tenendo il punto fino all’ultimo e lui è scappato sotto le sottane del referendum per non ammettere di aver perduto.
Tra l’altro queste stesse persone sono anche quelle che più alzano la voce contro l’Italicum e contro il governo italiano (potremmo dire contro qualunque governo da sempre). Con queste persone, che hanno questa idea di economia e di democrazia, come dicevamo, bisognerà confrontarsi in qualche modo, prima o poi. Esiste una percezione diffusa che ci sia qualcosa di sensato nelle rivendicazioni assistenzialiste di Tsipras che va comunque combattuta con chiarezza.

Non c’è nulla di sensato in un sistema assistenziale che spende così tanto in pensioni e per un pubblico impiego improduttivo, usato come ammortizzatore sociale.

La ragione fondamentale per la quale queste pretese sono insensate è semplicissima: i soldi non crescono sugli alberi, ma sono frutto del lavoro di qualcuno. Quando ad un pensionato si danno più soldi di quelli che ha messo da parte durante l’arco della sua vita lavorativa, quando si dà un reddito di cittadinanza senza alcun merito (a parte il luogo di nascita), quando si dà uno stipendio a qualcuno nel pubblico impiego per non fare nulla, quando si assume a tempo indeterminato, attraverso continue sanatorie, un insegnante che non sa insegnare ed è lì perché “non sapeva cosa altro fare nella vita” (e qui chiediamoci perché sempre più famiglie appena possono tolgono i loro figli dalla scuola pubblica e li mandano in qualche scuola privata pur pagando molto di più), quando si strapagano consulenze per aziende che non danno alcun valore aggiunto (qui un riferimento al caso del logo Alitalia è d’obbligo), quando insomma si danno soldi e risorse a qualcuno che non ha fatto nulla per meritarli, quando si paga un falso invalido che ha come unico handicap la pigrizia, questi soldi e queste risorse vengono tolte a qualcun altro che invece ha lavorato e non percepisce i frutti del proprio lavoro.

E’ questa la “giustizia sociale” che prevede la parte di popolazione perbenista, benaltrista e buonista che fa il tifo per Tsipras? E’ questo il concetto di meritocrazia?

Non si parla di contributi di solidarietà, che vanno elargiti assolutamente ove davvero necessari. Prima di chiedere i soldi ai contribuenti, vanno messe in chiaro queste cose, e non lo si fa per cattiveria, o per irriverenza verso la gloriosa storia antica dei greci, ma per giustizia, e la giustizia non è né buona né cattiva, e non campa di rendita sui fasti di un lontano passato.

L'autore: Gianluca Borrelli

Salernitano, ingegnere delle telecomunicazioni, da sempre appassionato di politica. Ha vissuto e lavorato per anni all'estero tra Irlanda e Inghilterra. Fondatore ed editore del «Termometro Politico».
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