È finita l’era delle chiacchiere per la BCE di Mario Draghi?

Pubblicato il 12 Maggio 2014 alle 11:07 Autore: Giovanni De Mizio

È finita l’era delle parole per la Banca Centrale Europea? Nel corso dell’ultima conferenza stampa a seguito dell’incontro di politica monetaria fra i governatori dell’Area Euro, il presidente Mario Draghi ha chiaramente lasciato intendere che l’istituto è pronto ad agire nel corso del prossimo meeting di giugno, dopo la pubblicazione delle nuove previsioni macroeconomiche, in particolare l’inflazione.

Draghi ha utilizzato per l’ennesima volta la solita espressione, ormai un irrinunciabile, noiosissimo appuntamento mensile per chi segue la politica monetaria: “La BCE è pronta ad agire”. Ma stavolta il presidente ha utilizzato un complemento di tempo molto preciso, a significare che questa volta, il presidente, il board e il consiglio dei governatori ci stanno mettendo la faccia. Qualcosa succederà a giugno, insomma, a meno che il prossimo report della BCE non mostri che, nonostante tutto, la realtà è ancora ben ancorata alle previsioni e non c’è motivo di muovere. Solo che stavolta Francoforte rischia di perdere faccia e credibilità, e le parole potrebbero non bastare più, come avvenuto per la forward guidance della Fed.

draghi

L’impressione, insomma, è che il Consiglio abbia finalmente raggiunto un qualche tipo di compromesso ed è pronto ad affrontare la persistente lowflation. Anche l’ultimo dato dell’indice dei prezzi al consumo, infatti, ha deluso le attese: nonostante un rimbalzo di due decimi di punto rispetto alla crescita tendenziale dello 0,5 per cento del mese precedente, ad aprile l’inflazione è cresciuta solo dello 0,7 per cento anno su anno.

Non solo: l’euro ha continuato a correre e ha sfiorato la soglia di 1,40 dollari. Un cambio forte rende infatti più economiche le importazioni, in particolare le commodity come il petrolio o il gas naturale, contribuendo a deprimere la crescita dei prezzi, una depressione in via di evidente cronicizzazione: infatti i prezzi sono già abbondantemente tenuti freddi da una domanda interna che resta debolissima, e il supereuro non fa altro che ridurre la crescita dei prezzi in un momento in cui non c’è granché a spingerli al rialzo, con il rischio di finire in territorio negativo.

L’euro ha risposto bene alle parole di Draghi, portandosi alla fine della settimana ben al di sotto di 1,38 dollari. Il mercato, insomma, ha deciso di dare credito a Draghi, anche se ancora non è chiaro cosa effettivamente succederà a giugno (taglio dei tassi ormai prossimi allo zero o manovra non convenzionale?), e neppure se accadrà qualcosa. Sta di fatto che il tempo delle chiacchiere sembra essere arrivato al capolinea, finalmente.

L’agenda macroeconomia prevede per martedì l’indice dei prezzi al consumo in Italia, che dovrebbe essere confermato in crescita tendenziale dello 0,6 per cento. Negli USA le vendite al dettaglio dovrebbero, secondo gli analisti, registrare una crescita dello 0,4 per cento su base mensile, in rallentamento rispetto al precedente +1,2 per cento.

Mercoledì sarà la volta dell’inflazione tedesca, francese e spagnola: nel primo caso la crescita è attesa confermata all’1,3 per cento, mentre nel secondo si dovrebbe registrare un’accelerazione allo 0,9 per cento contro lo 0,7 per cento precedente. Quanto alla Spagna, si attende una conferma dell’anemico tasso dello 0,3 per cento, sempre su base annua. Attesa invece in frenata la produzione industriale nell’Eurozona, con un tasso di crescita dell’1 per cento rispetto al precedente 1,7 per cento annuo.

Giovedì la crescita giapponese dovrebbe registrare una forte accelerazione nel primo trimestre del 2014, grazie soprattutto alla spesa per consumi, poiché molti abitanti dell’impero potrebbero aver deciso di anticipare molti acquisti in vista dell’aumento della tassa sui consumi, in vigore dal primo di aprile. Giornata di PIL anche per l’Eurozona: le stime preliminari attendono, su base trimestrale, una crescita dello 0,4 per cento per la Francia, dello 0,7 per cento per la Germania, e dello 0,2 per cento per l’Italia (che però, su base annua, resta in territorio negativo dello 0,1 per cento). Il PIL dell’Eurozona dovrebbe segnare una crescita dello 0,4 per cento, mentre dovrebbe essere confermato il dato sull’inflazione allo 0,7 per cento. L’inflazione USA, di contro, è attesa in crescita al 2 per cento; i jobless claims sono previsti stabili intorno alle 320 mila unità. È infine attesa una lieve contrazione dell’indice che misura lo stato della manifattura nel distretto di Philadelphia.

Venerdì il mercato immobiliare statunitense è atteso dare qualche lieve segnale di crescita, come pure l’indice che misura la fiducia delle famiglie elaborato dall’Università del Michigan.