Più Papa Francesco, meno Jeremy Corbyn

Pubblicato il 12 Settembre 2015 alle 18:02 Autore: Livio Ricciardelli
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E’ come passare da Michael Foot a Neil Kinnock… ma al contrario!

Questa una sintesi del congresso laburista del 2015, che sancisce la vittoria dell’esponente della sinistra interna Jeremy Corbyn.

Dopo il periodo di “transizione” di Ed Miliband, non connotato politicamente ma eletto leader del partito per un pugno di voti di matrice sindacale, la sinistra britannica non decide di tornare alla Terza Via di ghiddensiana memoria. Ma ad una situazione pre-1994. Che ricorda soprattutto l’opposizione laburista al primo governo Thatcher, dal 1979 al 1983.

Due sono le riflessioni a cui deve spingerci questo avvenimento:

-in primo luogo: Corbyn non vince solo per meriti propri. Ma anche per demeriti altrui. Il vero dramma politico di questa fase è la trasformazione genetica del Partito Laburista per quanto riguarda la selezione della propria classe dirigente. Una forza, il Labour Party, capace di diventare da “partito della classe dirigente” a partito di comprimari trasandati. Invertendo in questo senso il proprio ruolo con quello del fronte conservatore: anonimi in epoca blairiana, vera squadra di governo (capace di vincere collegi in giro per il paese e di mantenere salde le proprie poltrone governative) sotto il proprio leader David Cameron.

Da qui una corsa alla leadership di Corbyn, potenzialmente di testimonianza. Ma capace di diventare competitiva di fronte a leader giovani ma già sperimentati Burhnam (quarto allo scorso congresso labour), a continuatori scarsamente carismatici (e probabilmente senza titoli) dell’epopea blarista come Kendall e dal trionfo del #tengofamiglia esemplificato da Yvette Cooper.

Un tempo c’erano Blair, Brown, Mandelson, Prescott, Margareth Beckett e le sue velleità di leadership. Ora solo ragazzini pseudo-viziati ed abituati a viaggiare su una macchina in cui qualcun altro temeva saldo il volante e faceva veramente politica. In questo quadro, svetta chi c’è sempre stato (Corbyn è a Westminster dall’83, come Blair) e che da sempre rappresenta istanze (il Labour è un partito veramente plurale) capaci di organizzarsi.

Comunicativamente il suo essere trasandato, il suo essere anti-divo e perennemente senza cravatta (come Tsipras) nel paese della “normalità” e in cui la residenza del Primo Ministro è un semplice numero civico, potrebbe essere  d’aiuto (in Francia, per esempio, Corbyn non avrebbe mai avuto chance. E non solo per la sua piattaforma politica).

jeremy corbyn durante una pubblica manifestazione

Ma a parte tutto ciò, questa storia ha l’aspetto di un suicidio politico.

-Per quanto non abbia vinto solo per meriti suoi, occorre però non far spallucce di fronte alle tematiche poste dal nuovo leader laburista. Sia chiaro: il Partito Laburista non è una forza politica marxista. Non lo è la tradizione del socialismo anglosassone, più vicina ad utopismi ed astruse parabole alla Robert Owen che al concetto di plusvalore e di tesi-antitesi-sintesi di marca hegeliana. In questo senso Corbyn va più visto come una sorta di socialista anti-litteram e dai tratti movimentisti (il fronte trotzkista stravede per lui, chiedete a Ken Il Rosso).

Nonostante tutto da parte dell’elettorato di sinistra resta sempre, quasi come riflesso pavloviano, il timore che per un certo periodo la sinistra abbia effettivamente copiato troppo al destra. Rimanendo schiacciata e in una situazione politicamente subalterno.

Conseguenze, a mio modo di vedere, post-1989 e capaci di vedere il ruolo di sinistra non solo in un’ottica gradualista, borghese e Fabiana. Ma anche come vera e propria “sinistra della destra”. E dove per destra si intende, de facto, tutto il sistema politico e l’arena democratica.

Senz’altro il fallimento del dogma liberista e la crisi dei mutui subprime del 2008, causato da un eccesso di finanziarizzazione del mercato, deve spingere i veri innovatori (di destra e di sinistra) a rivedere il proprio rapporto con l’economia, cercando di andare oltre il mero conflitto capitale-lavoro. Ed in questo senso, una sinistra che si allontana sempre più da alcune caratteristiche del liberismo, può fare proseliti.

Il problema è che è discutibile il fatto che ciò possa avvenire in paese come il Regno Unito, culla della democrazia e di una certa idea di costituzionalismo. Ed in cui alla fine la difesa della democrazia è un baluardo comune per tutte le formazioni politiche (sì, anche per Farage).

Ed al tempo stesso è discutibile che, a seguito della fine del comunismo, si riesca a superare anche questa fase di liberismo dominante…tornando alle parole d’ordine di 35 anni fa!

Per quanto la sinistra debba inventarsi qualcosa di nuovo (e il copiare la destra è nuovo fino ad un certo punto) non sarà un mero ritorno al passato a risolvere i problemi della povera gente. Ma l’andare oltre l’attuale fase politica, oltre il conflitto, oltre l’idea di economia come unico aspetto centrale dell’agenda politica degli stati nazionali.

In questo senso ci sentiamo di dire: più Papa Francesco, meno Jeremy Corbyn.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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