Alabama Monroe, il nudo amore è aspro e intenso

Pubblicato il 28 Maggio 2014 alle 09:58 Autore: Francesca Garrisi

“Il tuo corpo era mio cent’anni prima di appartenerti, ti ho salvato molte volte in altre vite, ho stritolato il tuo cuore e nessuno potrà restituirgli la forma originaria eravamo una cosa sola, tanto che nessuno potrà stare con te senza avere anche un po’ di me”. Se C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo, il romanzo da cui è tratto il virgolettato, fosse un film, non potrebbe essere che Alabama Monroe (titolo originale: The Broken Circle Breakdown, del regista fiammingo Felix Van Groeningen. La pellicola, in sala in questi giorni, annovera nel cast Veerle Baetens, Johan Heldenbergh, Nell Cattrysse, Geert Van Rampelberg e Nils De Caster. 

Cosa hanno in comune Elise (Veerle Baetens) e Didier (Johan Heldenbergh)? Per entrambi, il corpo assume un ruolo fondamentale, nel lavoro come nella vita. La prima infatti è una tatuatrice, che ha trasformato la propria pelle nella mappa geografica dei suoi sentimenti; il secondo, invece, è un cantante di musica bluegrass che suona il banjo in un gruppo belga.

La passione tra i due divampa immediata e totalizzante, rivelandosi sorprendentemente solida e duratura. Così, la nascita di Maybelle (Nell Cattrysse) sembra alimentare ulteriormente il fuoco che li unisce. Ma il caso, come spesso accade, rimescola improvvisamente le carte in tavola, assestando un duro colpo a quelle che Elise e Didier pensavano essere certezze e priorità condivise. E La coppia, che ha assaporato il picco del piacere prima e l’apice della felicità poi, fa i conti adesso con un dolore che strappa le viscere, costringendo i due a sperimentare un’assordante disperazione.

“Il corpo. Tatuato per disegnare su di sé gli eventi più importanti della vita, teso ad arco durante l’orgasmo, che accoglie dentro di sé una nuova esistenza e si dilata per favorirne la nascita. Il corpo che accompagna con il movimento delle mani, dei fianchi, dei piedi i ritmi del country americano, il corpo devastato dalla malattia, la testa resa calva dalla  chemio, il sistema immunitario distrutto, quando persino respirare diventa una fatica. Le risate, gli abbracci, la complicità, sentire di avere un progetto comune. La musica bella e dolente del bluegrass americano interpretata da un gruppo di fiamminghi che anelano spazi e opportunità mitiche negate in Belgio, nel clima freddo e chiuso delle Fiandre.

cinema film alabama monroe

L’amore, a prima vista. Quando l’immagine dell’altro si insinua dentro di te prepotente, ti scava dentro, ti colma di arsura e non riesci a spegnerla neanche dopo l’amplesso, perché non è solo una questione di sensi, ma di anime che desiderano stare vicino, unirsi, con/fondersi. Il dolore che annulla la voglia di vivere, lo sguardo fisso sul paesaggio della campagna che scorre mentre una macchina ti riporta a casa, quella casa ormai colma di foto e ricordi che alludono a un passato felice e tu misuri ogni momento la distanza tra quel passato e un presente che ha perso ogni significato, ogni slancio La vita non è generosa, con una mano dà, con l’altra prende, con gli interessi.

E scagliarsi contro Dio e gli uomini vale poco, vale come una bottiglia di vino o una manciata di pastiglie per lenire il dolore. I nomi tatuati e cancellati. Non più Elise, ma Alabama. Non più Didier, ma Monroe. Alla ricerca di un altrove che esiste solo in funzione del suo essere irraggiungibile, un paese, una stella, una farfalla, un uccello”.

La sofferenza va consumata fino all’ultima goccia, tentare di sfuggirle è impossibile, cantano Elise e Didier. Il loro amore diventa quindi emblema di un incontro che si nutre di sentimenti intensi e contrastati, spinti fino alle estreme conseguenze. Il regista rende magistralmente tutto questo attraverso la tecnica del flashback; così, la disperazione del presente si alterna e intreccia con i ricordi di un passato tanto dolce da diventare insopportabilmente straziante. Un ruolo importante gioca inoltre la colonna sonora: i brani eseguiti nel film sono stati cantati dai due attori, che hanno dato vita a performance toccanti e intense, durante le quali la macchina da presa sottolinea ora i sorrisi e la complicità palpabile, ora la gestualità tesa e contratta, segnale di un mutamento profondo degli stati d’animo e del rapporto che lega Elise e Didier.

Degna di nota anche l’interpretazione dei due attori, attraversata da «un livello di autenticità e identificazione raramente visti nel cinema recente. Johan Heldenbergh, che è anche autore della pièce teatrale su cui si basa Alabama Monroe, interpreta Didier come una creatura primordiale con un’inesauribile energia vitale e una dirompente carica rabbiosa quando la vita gli riserva il suo lato più oscuro e le politiche degli uomini non fanno nulla per aiutarlo. Veerle Baetens, vincitrice dell’European Film Award per il ruolo di Elise, ha una recitazione epidermica perfettamente consona a una donna che usa la propria pelle per esprimere ogni suo sentimento».

Pluripremiato in Europa e negli Stati Uniti, Alabama Monroe è stato il principale concorrente de La grande bellezza ai premi Oscar, ed è senza dubbio uno dei film più convincenti in sala attualmente. Se siete alla ricerca di una storia capace di appassionarvi “parlandovi” con onestà e ruvida pienezza vitale, è quello che fa per voi. Non succede spesso, infatti, che il cinema offra un’istantanea dell’amore quale è, al naturale, e al netto di tutte le edulcorazioni e adulterazioni made in Hollywood.

L'autore: Francesca Garrisi

31 anni, una laurea in Scienze della Comunicazione e poi un master in comunicazione d’impresa e comunicazione pubblica. Ha collaborato con l’Osservatorio di Comunicazione Politica dell’Università del Salento, e come stagista con il settore Comunicazione Istituzionale della Regione Puglia. Ha scritto per l’mPAZiente, bimestrale d’inchiesta salentino, e a oggi collabora con Termometro Politico e il settimanale salentino Extra Magazine. Un po’ Monty Python un po’ Cuore Selvaggio, è innamorata della lingua tedesca, che ritiene ingiustamente sottovalutata e bistrattata
Tutti gli articoli di Francesca Garrisi →