La resa dei conti in casa Pd: Renzi difende la sua linea

Pubblicato il 27 Giugno 2016 alle 09:39 Autore: Daniele Errera
Il segretario del Pd Matteo Renzi

Le elezioni comunali hanno scoperchiato un ‘vaso di Pandora’: i mali già c’erano, ma erano celati, nascosti in fondo. Quasi dimenticati. C’è voluta una battuta d’arresto e gli scontri in casa Pd sono tornati ad essere feroci, brutali. Renzi, messo all’angolo, non ci sta.

Pd: “Nessun ritorno alle correnti”

La resa dei conti in casa Nazareno è semplicemente rimandata. La direzione Pd, infatti, è saltata per via dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, ma Renzi è determinato. Andrà alla prossima direzione e farà valere le sue idee: un partito nuovo, innovato e non un ritorno al passato al partito delle correnti e diviso al suo interno. Cosa che oggi è ancora, ma non per grandi ideologie, bensì per una visione in bianco e una in nero: Renzi sì o Renzi no. Oggi è anche questo il Pd. Nessun ritorno alle correnti: “se vogliono quello – dice il premier a La Stampa – hanno una via dritta: trovarsi un nuovo segretario. Il Congresso non è lontano, possono provarci”.

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E’ il solito Renzi guascone. Quello che non ha paura delle battaglie impossibili. Come quella di fine 2012, quando sfidò l’establishment del Pd per prenderne la leadership in vista delle elezioni politiche (primarie per la premiership). Non ce la fece, di poco. Questione un anno nemmeno ed era il nuovo segretario dem. Dopo qualche mese il Presidente del Consiglio, succedendo ad Enrico Letta. Che non sarebbe più stato sereno. Quindi la volta delle elezioni europee e di quel 40,8%. Tutti saltati sopra il carro renziano. Ora la sconfitta alle Comunali e in molti giù. Ma Renzi difende il risultato e non lo giudica una disfatta: “si è votato in 1.500 comuni e in 20 hanno vinto i Cinque Stelle. In 7-800 comuni abbiamo vinto noi e negli altri, non pochi”. Renzi parla di una sconfitta della Lega Nord, non del Pd, che è stato ultimamente al centro di infuocate polemiche interne: “nell’ultimo anno, infatti, il Pd è finito sui giornali soprattutto per questioni interne: ora, se qualcuno pensa che si possano conquistare voti con una costante presa di distanze dal segretario o dall’attività di governo, pensa una cosa stramba davvero”.

C’è chi accusa Renzi di aver spostato il Pd a destra e che questo si sia riflesso nell’allontanamento di base e voti dal partito stesso. Non è così, secondo Renzi: “il Jobs Act è la cosa più di sinistra fatta negli ultimi anni, perché permette ai giovani di avere un lavoro a tempo indeterminato, che significa un mutuo, uscire di casa, affrancarsi. Ci sono 455 mila posti di lavoro in più da quando io sono presidente del Consiglio, è troppo poco, ma il numero è enorme”. E’ di sinistra anche non intervenire in Libia, l’introduzione di leggi sui diritti civili, sul terzo settore, sull’autismo, sulla corruzione, spiega il premier. Nemmeno l’alleanza con Verdini, secondo Renzi, può essere interpretata come una virata a destra dei dem: “sono argomentazioni che non stanno in piedi”, conferma l’ex sindaco di Firenze. “Servono a montare polemiche non solo inutili ma perfino dannose. Se noi stessi trasmettiamo agli elettori un’idea di inaffidabilità del Pd, mi pare complesso poi riuscire a vincere delle elezioni”.

E volente o nolente si torna all’organizzazione del Pd. Renzi sostiene di non aver toccato la forma partito, quando arrivò a fine 2013, succedendo a Guglielmo Epifani, ma giura che non si tornerà alla stagioni delle correnti: “io porrò il problema in Direzione in modo molto franco. Abbiamo una rete sul territorio eccezionale: ma questa rete va usata, e non sempre avviene. Non solo: questo partito, in passato, aveva smesso di funzionare ed era diventato ostaggio delle correnti nazionali, per cui il luogo della sintesi erano i ‘caminetti’. Dunque: finché io faccio il segretario del Pd, ‘caminetti’ non se ne fanno. Volete il partito delle correnti? Allora cacciate me”.

E’ l’organizzazione partitica a tenere banco in questi giorni. Dopo le sconfitte elettorali, i partiti di sinistra della Seconda Repubblica sono infatti soliti riorganizzarsi e discutere sulla struttura interna. E a chi accusa Renzi di non governare il Pd in maniera collegiale, il premier risponde: “la gestione è giù unitaria, la segreteria è già unitaria. Vogliamo cambiare? Io non ho preclusioni. Ma è importante l’analisi di partenza: non siamo nella situazione di tracollo del Pd che viene descritta sui giornali o in Transatlantico. Certo, abbiamo perso comuni importantissimi, come Roma e Torino, abbiamo preso un colpo e brucia, fa male. Ma succede di perdere delle amministrative, non si può sempre vincere dappertutto. E dalle sconfitte si può imparare, comunque, se si vuole”. Ma non gli si parli di un segretario del Pd diverso dal premier (cioè da lui stesso): “lo Statuto non lo prevede. Vogliono cambiare lo Statuto? Qualcuno si alzi, lo dica e spieghi qual è il modello alternativo che propone”. Il tema è sempre lo stesso. All’interno del centro sinistra italiano, ormai, alternative a Renzi sembrano essercene poche. Sinistra Italiana non ha funzionato e nel Pd, dopo le europee del 2014, ci si è affidati anima e corpo a Renzi. Salvo poi perdere le elezioni. Allora si rimette tutto in discussione: si prevede un’estate ancora più calda a Sant’Andrea Delle Fratte.

Daniele Errera

 

L'autore: Daniele Errera

Nato a Roma classe 1989. Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali con la tesi "Dal Pds al Pd: evoluzione dell'organizzazione interna". Appassionato di politica, ha ricoperto vari ruoli nel Partito Democratico e nei Giovani Democratici. E' attivo nell'associazionismo territoriale.
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