Andrea Rauch: vi racconto com’è nato l’Ulivo (che dovrebbe sparire dal Pd)

Pubblicato il 30 Giugno 2016 alle 14:10 Autore: Gabriele Maestri
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Andrea Rauch: vi racconto com’è nato l’Ulivo (che dovrebbe sparire dal Pd)

20 aprile 1996: sono passati 20 anni e quasi due mesi dal giorno in cui il centrosinistra guidato da Romano Prodi vinse le elezioni politiche. Quella vittoria arrivò nel segno dell’Ulivo, un emblema che era stato lanciato, come idea, oltre un anno prima, il 6 marzo del 1995. Fino alla fine dell’anno, tuttavia, il progetto non aveva ancora un volto grafico, nessuno aveva ancora provveduto a dargli forma e colore. Lo fece Andrea Rauch, illustratore e designer di pregio: non lo creò su richiesta, ma l’idea nata per un seminario – e grazie a un ramo di ulivo di casa sua – era già pronta per finire sulle schede. Fu di nuovo Rauch a disegnare il fregio della Margherita, ma la sua “creatura” grafica politica più longeva è stata proprio l’Ulivo. Non è un caso, dunque, se ci facciamo raccontare da lui come è nato e quanto sia diverso dai segni politici di oggi. Rauch ne è tanto convinto, al punto da avere chiesto a Matteo Renzi, poco dopo il suo arrivo alla segreteria del Pd, alla fine del 2013, di cancellare ogni traccia del “suo” rametto d’ulivo dal logo del partito. Rametto che invece, è ancora lì.

Andrea Rauch: vi racconto com’è nato l’Ulivo (che dovrebbe sparire dal Pd)

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Rauch, a distanza di vent’anni, ci ricorda come nacque l’Ulivo?
Molto semplicemente, verso la fine del 1995 io partecipai come relatore, assieme a Omar Calabrese e Marino Livolsi, entrambi di area semiotica, a un seminario organizzato a Bologna: lo scopo era insegnare come gestire la comunicazione ai componenti dei “Comitati Prodi per l’Italia che vogliamo” che in quel periodo stavano operando. Ognuno si occupava di argomenti diversi, trattandoli a fondo: Calabrese, per dire, dedicò una lezione a come si risponde al telefono, cosa su cui raramente si riflette. Nel mio intervento, invece, avrei dovuto spiegare come si cura la grafica di un movimento politico: feci dunque una serie di esempi, calibrati proprio sui “comitati Prodi” e sullo slogan “L’Italia che vogliamo”, soffermandomi sull’elaborazione di un marchio, sulla scelta dei colori, dei caratteri
Fu lì che le venne chiesto di realizzare il simbolo?
Non andò proprio così. Tenga conto che, in occasione di quel seminario-lezione a Bologna, si sapeva già che Romano Prodi avrebbe voluto chiamare “L’Ulivo” il suo progetto. Io tra l’altro fin dall’inizio ero perplesso su questo punto, anche se ovviamente non avevo voce in capitolo.
Cosa non la convinceva?
Vede, l’ulivo per me era ambiguo, perché era in bilico tra due tradizioni: da una parte la colomba della pace di Picasso, che aveva il ramoscello d’ulivo in bocca, dall’altra parte la Domenica delle palme. Ritenevo dunque che, come segno, l’ulivo avesse una connotazione troppo nazionalpopolare e la cosa non mi piaceva molto; è però un ricordo molto lontano, io avrei fatto altro ma ho fatto pace con l’impressione di allora e i risultati ottenuti dall’Ulivo mostrano che era Prodi ad avere ragione…
ulivo, simbolo ulivo, prodi ulivoTornando a quella lezione bolognese, come si svolsero le cose?
In coda a quel mio intervento, mostrai anche un esempio di come si sarebbe potuto costruire il simbolo a partire da quel nome. Trattandosi di una cosa puramente dimostrativa, non dovevo né volevo perderci molto tempo sopra: all’epoca abitavo in campagna, così staccai un ramoscello da un ulivo che avevo, lo scannerizzai per riprenderne l’andamento e poi ci lavorai sopra con Macromedia Freehand, il programma di grafica vettoriale che si usava allora, prima dell’avvento di Adobe Illustrator. Per puro caso, essendo da poco rientrato a Bologna, a quell’ultima parte di conferenza era presente lo stesso Prodi e alla fine lui mi disse: “Ma questo simbolo a me andrebbe già bene!”.
Fantastico, buona la prima…
Lo stesso Prodi mi indirizzò a Walter Veltroni a Roma. Lui fece giusto un paio di obiezioni, che peraltro io avevo già considerato fin dall’inizio: si trattava quasi di ovvietà, come ad esempio abbandonare l’idea di sostituire la I di “Ulivo” con il pezzetto del ramoscello e un’altra cosa che non funzionava granché. Al di là di questo, il simbolo definitivo era praticamente identico a quello che avevo progettato per Bologna: per assurdo, ci è voluto più tempo per andare da Veltroni che per far approvare il disegno, una volta fatti quei piccoli aggiustamenti. Prodi, tra l’altro, a quel ramoscello era affezionato e voleva che nel simbolo fosse conservato, ma come elemento grafico era piuttosto esile; il nome dell’Ulivo era imponente, ma da solo rischiava di galleggiare e, per sostenerlo, si inserì la sfumatura azzurra in basso. Il disegno originale, comunque, non si discostò molto da quello di Bologna; paradossalmente, qualche schizzo “preparatorio” l’ho fatto a posteriori, sempre in preparazione a un’altra lezione che aveva tra i relatori di nuovo Omar Calabrese.
Lei dunque non ha ricevuto alcuna commessa per la realizzazione del simbolo?
Assolutamente no: era semplicemente la logica conseguenza della lezione che avevo fatto, è stato un modo per concluderla, dopo di che le cose sono andate avanti per conto loro e il simbolo è andato bene; ne facemmo anche qualche variazione per occasioni particolari, come il rametto con le palline rosse per il Natale del 1997, quello con le olive di vari colori per l’organizzazione dei giovani, così come preparammo le bandiere e altro materiale. E, manco a dirlo, non fui pagato, più o meno come avveniva in passato nel Pci o in altri ambienti…
Veramente? Nemmeno un rimborso spese? 
Guardi, non solo non venni pagato, ma addirittura si dovettero comprare noi i floppy disk utilizzati per distribuire il nuovo simbolo ai giornalisti, quando venne presentato alla stampa. Devo averci rimesso qualcosa come settanta, ottantamila lire in dischetti. E pensare che sulla realizzazione di quell’emblema si è detto di tutto in seguito: non ci fu nessun concorso per la scelta del simbolo, come qualcuno ha immaginato.
E men che meno guadagni faraonici, direi… 
Senta, io ho sempre pensato “Finché Prodi e Veltroni mi devono qualcosa, va bene, il problema sarà quando io dovrò qualcosa a loro”, stando così le cose, bene o male Prodi e Veltroni mi sono debitori di qualcosa e io sono tranquillo, con me stesso e con la mia coscienza. Con quel simbolo, tra l’altro, vincemmo le elezioni del 1996 e anche quelle di dieci anni più tardi, le ultime “presentabili”, dunque sono anche abbastanza contento, quello sull’Ulivo è stato anche una specie di “lavoro a futura memoria”.
La storia finì lì?
Beh, no. Per un po’ di tempo mi chiesero la mia opinione su altri simboli adottati in seguito, a partire dall’asinello dei Democratici per Prodi. Fui io poi a disegnare il simbolo della Margherita, qualche anno dopo, ma quella fu un’altra storia.
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Con la Margherita andò allo stesso modo dell’Ulivo o ci fu del lavoro in più?
Beh, c’è stato molto lavoro in più, ma per altri motivi. A tenere i contatti con me fu Lapo Pistelli, il collegamento tra i romani e i fiorentini, praticamente faceva la spola ogni settimana. Loro nel simbolo volevano la margherita e io la disegnai, con il solito programma; poi però iniziò una sorta di balletto che interessò vari elementi. Mettiamo i simboli dei partiti che compongono l’alleanza, anzi, non li mettiamo, o mettiamo solo i nomi; mettiamo il nome di Francesco Rutelli, leader e potenziale presidente del Consiglio, anzi, non mettiamolo; lasciamo il fiore al centro, anzi spostiamolo per far posto ai simboli, anzi, meglio rimpicciolirlo, e avanti così, persino il nome del cartello elettorale mutò nel tempo. Fu un lavorio continuo e anche un po’ pasticciato, praticamente il simbolo cambiava ogni settimana e tutte le volte che Lapo Pistelli tornava da Roma dopo aver parlato con quello che lui chiamava “il sinedrio”, nel senso dei maggiorenti dei quattro partiti fondatori (Ppi, Democratici, Rinnovamento italiano e, per un po’, Udeur, ndb) c’era una piccola novità. In sé erano cambiamenti di poco conto, ma si fece almeno una ventina di versioni diverse…
Incredibile…
La cosa più buffa avvenne quando si decise di presentare pubblicamente il simbolo. Ricordo che io e i miei assistenti stavamo andando a un convegno a Fabrica, a Treviso, per cui noi non potevamo essere presenti a quell’appuntamento: il materiale per la presentazione fu passato se non sbaglio ad Area, il gruppo romano, e a essere presentata fu la versione di quel giorno… E, manco a dirlo, anche allora prestai la mia opera gratuitamente!
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Se non sbaglio, però, l’Ulivo non fu la sua prima proposta simbolica, giusto?
In effetti, quando venne presentato il simbolo del Partito democratico della sinistra, alla fine del 1990, io e Alessandro Savorelli – che avrebbe in seguito illustrato a parole anche “il mito dell’Ulivo – iniziammo a lavorare su una proposta grafica diversa, che presentammo poi nel 1991. Si trattava di un simbolo che univa la bandiera rossa a una rivisitazione della citata colomba della pace di Picasso; come nome avevamo scelto “La sinistra”. Nel folder di presentazione, oltre a ipotizzare tutti i possibili usi del segno (a colori, in bianco e nero, sui biglietti da visita, sulla carta da lettere…), ci divertimmo a immaginare la presentazione del simbolo – intitolata Una modesta proposta – come il discorso di un vecchio compagno in una generica sezione toscana del Pci.
Un modo per toccare le corde giuste… e come andò a finire?
Stampammo un po’ di copie di quel folder e lo facemmo arrivare anche a ciò che restava del Partito comunista italiano. Ricordo bene che ci rispose Piero Fassino: disse che la cosa gli interessava, che il simbolo era appena stato cambiato ma per il futuro si sarebbe potuto valutare. La sua fu in effetti una risposta di cortesia, senza promesse, ma noi in realtà lo avevamo fatto per divertimento: non ci garbava la quercia, così provammo a immaginare qualcos’altro.
Un’accoglienza diversa, rispetto all’Ulivo di qualche anno dopo…
Guardi, parlando proprio con Alessandro Savorelli poco tempo fa, è uscita questa considerazione: meno male che abbiamo fatto l’Ulivo allora. In pratica l’Ulivo, assieme a Forza Italia, sono stati una sorta di spartiacque tra il vecchio e il nuovo mondo: nel primo c’era una decina di simboli, nel secondo centomila… un diluvio continuo, unotsunami. Anche per questo, l’Ulivo di allora non c’entra nulla coi partiti di oggi.

Dunque è vero che lei ha chiesto a Matteo Renzi di togliere il riferimento all’Ulivo dal simbolo del Partito democratico?
Confermo, era il 31 dicembre del 2013 e io scrissi a Renzi, ancora sindaco di Firenze ma già segretario del Pd. Il succo della lettera era: “Visto che quel rametto di ulivo ormai non vi serve più, per piacere levatelo”. Per come era stato inserito nell’emblema del partito, sembrava quasi una cacatina di mosca, un dettaglio di pochi millimetri in un simbolo di tre centimetri di diametro: toglierlo aveva un senso, visto che appunto non serviva più, il Pd non somigliava affatto all’Ulivo del 1996. Da Renzi, ovviamente, non ottenni alcuna risposta; condivisi comunque il contenuto della lettera attraverso il mio profilo di Facebook. Da allora, sinceramente, non ho cambiato idea.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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