Inizia il mondiale nel Brasile delle contraddizioni

Pubblicato il 10 Giugno 2014 alle 13:00 Autore: Antonio Scafati
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Ancora poche ore e poi Brasile-Croazia, partita inaugurale del Mondiale di calcio 2014. Paese ospitante: un Brasile pieno di fascino, ambizioni e contraddizioni. I verdeoro sono i favoriti ma oltre al calcio c’è tanto altro. Tra economia, politica e il timore di una nuova ondata di proteste, il paese si prepara a essere il centro del mondo per un mese: da giovedì alla finalissima del 13 luglio, tutto d’un fiato.

Il Brasile è la nazione più influente e ricca del Sud America ma arriva all’appuntamento con un’economia in affanno. Nel primo trimestre dell’anno il Pil è cresciuto solo dello 0,2 per cento: poco, e in gran parte per merito di investimenti pubblici. Nel 2010 l’economia viaggiava a un ritmo del 7,5 per cento, ma oggi gli anni del boom sono lontani. Pesano la mancanza di infrastrutture, gli investimenti privati sono bassi, la gente consuma poco, l’inflazione superiore al 6 per cento si mangia il potere d’acquisto.

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Il Brasile resta un paese dalle enormi diseguaglianze sociali. Gli sforzi compiuti dal governo per ridurre la forbice tra ricchi e poveri (il presidente Dilma Rousseff rivendica di aver tirato fuori dalla povertà 30 milioni di brasiliani) sono valsi l’elogio della Banca Mondiale ma non hanno cambiato faccia al paese. Lo scorso anno, durante la Confederations Cup, il Brasile è stato attraversato da un’ondata di manifestazioni che in più di un’occasione hanno assunto connotati violenti. Centinaia di migliaia di persone in strada per chiedere meno corruzione e per protestare contro le gigantesche spese sostenute per l’organizzazione del campionato del mondo: secondo molti uno sforzo insensato, per un paese dove vivere non è sempre semplice. Istruzione e sanità lasciano ancora a desiderare, così come la sicurezza. In città come Rio de Janeiro e San Paolo un terzo della popolazione vive nelle favelas.

C’è il timore che le proteste tornino a riempire le strade anche nelle prossime settimane, quando tutti gli occhi del mondo saranno puntati sul Brasile. Migliaia di uomini delle forze dell’ordine saranno schierati per le strade, militari compresi: tutti ingredienti di quel pericoloso cocktail fatto di soldati, agenti inesperti e impunità per chi indossa una divisa su cui ha messo l’accento Amnesty International. L’obiettivo delle autorità, ha scritto la BBC, è non ripetere gli errori dell’anno scorso, quando alla protesta fu permesso di montare giorno dopo giorno. “A coloro che vorranno protestare sarà concesso di farlo al 100 per cento” ha dichiarato Rousseff pochi giorni fa, aggiungendo che “la maggioranza dei brasiliani supporterà la Coppa del mondo e ai manifestanti non sarà consentito di interferire o interrompere il torneo”.

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Per Dilma Rousseff le prossime settimane saranno importanti. Il 5 ottobre andrà a caccia della rielezione. Il mondiale di calcio che scatta tra poche ore rappresenta per lei un’occasione di rilancio. Fino a oggi la sua politica economica non ha centrato gli obiettivi fissati. Nei sondaggi resta avanti, ma rispetto a qualche mese i numeri sono in calo. Nel frattempo il bilancio subisce il peso delle spese per la Coppa del Mondo e il debito pubblico cresce. Secondo un sondaggio del Pew Research Center, il 72 per cento dei brasiliani è insoddisfatto della situazione del proprio paese. E per il 61 per cento degli intervistati portare la Coppa del mondo in Brasile è stata una mossa sbagliata che ha sottratto risorse alla scuola e alla sanità. Per molti le priorità erano altre, insomma. “Questa è l’atmosfera più strana che abbia mai visto in Brasile prima di una Coppa del mondo” ha commentato al Washington Post lo storico Antonio Risério.

La scorsa settimana Rousseff ha difeso la scelta di ospitare i mondiali di calcio in Brasile: gli investimenti sono stati fatti per il paese e non per il torneo, ha detto, spiegando che senza il campionato del mondo molte città brasiliane avrebbero dovuto aspettare anni per la ristrutturazione degli aeroporti e la mobilità urbana. E poi c’è il turismo: si stima che nelle prossime settimane 600mila persone visiteranno il Brasile. L’impatto sull’economia potrebbe oscillare tra un + 0,2 per cento del Pil e un + 0,5 nella migliore delle ipotesi. Ma solo un brasiliano su tre pensa che il mondiale darà una spinta all’economia del paese.

In mezzo c’è il pallone, la maglia verdeoro, Neymar e soci per una Seleção che comincia contro la Croazia e vuole finire in bellezza il 13 luglio, al Maracanã di Rio de Janeiro, sognando una sera di mezza estate nella quale sollevare la coppa. Una vittoria nel mondiale casalingo riempirebbe le strade di un entusiasmo tale da mettere da parte l’insoddisfazione, le contraddizioni e tutto il resto. Almeno per un po’.

L'autore: Antonio Scafati

Antonio Scafati è nato a Roma nel 1984. Dopo la gavetta presso alcune testate locali è approdato alla redazione Tg di RomaUno tv, la più importante emittente televisiva privata del Lazio, dove è rimasto per due anni e mezzo. Si è occupato per anni di paesi scandinavi: ha firmato articoli su diverse testate tra cui Area, L’Occidentale, Lettera43. È autore di “Rugby per non frequentanti”, guida multimediale edita da Il Menocchio. Ha coordinato la redazione Esteri di TermometroPolitico fino al dicembre 2014. Follow @antonio_scafati
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