INTERVISTA Abrignani: “Forza Italia è viva, ma va riorganizzzata dal basso”

Pubblicato il 11 Giugno 2014 alle 14:21 Autore: Gabriele Maestri
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Si compiace inevitabilmente Forza Italia dei successi ottenuti dal centrodestra in zone tradizionalmente rosse, ma altri numeri elettorali a sé sfavorevoli non riescono proprio a farla gioire. I segnali sono contrastanti e, anche per questo, è il caso di interpellare chi, nel partito (e già prima nel Pdl) ricopre il delicato ruolo del responsabile elettorale, Ignazio Abrignani.

La bandierina tricolore, rispolverata solo a novembre, per molti ha già bisogno di una profonda messa a punto, da fare mentre in Parlamento si discuterà tra l’altro di riforme istituzionali e delle modifiche al ddl elettorale. Strappato per una ventina di minuti dall’aula della Camera, Abrignani prevede che la corsa di Renzi non arrivi al 2018 (“Ma spero regga almeno un anno”) e, per il suo partito, punta sull’unità e sulla riorganizzazione dal basso. Con una certezza: se Berlusconi avesse potuto fare davvero campagna, 4 o 5 punti in più li avrebbe portati  a casa.

Onorevole Abrignani, partiamo dagli ultimi numeri, dai risultati delle europee e delle amministrative. Che lettura ne dà? C’è un vincitore?

Devo dire innanzitutto di aver trovato obiettivamente una grande differenza tra il risultato del primo turno e quello del secondo turno. Nel primo, in cui ricomprendo anche il voto per il Parlamento europeo, direi che l’effetto “80 euro” di Renzi ha effettivamente trascinato in alto il Partito democratico, sia in prospettiva Bruxelles, sia su scala locale per le amministrative. Chiaramente non possiamo negarci, visto che è emerso in maniera chiara da tanti dibattiti, che c’è stata a favore del Pd una polarizzazione del voto moderato anti-Grillo.

Per quanto riguarda il secondo turno invece?

Aspetti, vorrei dire qualcosa su di noi.

Giusto, ha ragione.

Per quanto riguarda il mio partito, Forza Italia ha sofferto l’impossibilità di una campagna elettorale “regolare” di Berlusconi, vincolato dai problemi giudiziari e dai limiti imposti che sappiamo. Il mancato contatto con la sua gente, con le piazze ha indubbiamente influito, a mio modo di vedere, sul nostro risultato; questo però non può assolutamente farci nascondere i problemi che ci sono e vanno affrontati. Questo a cominciare dalla sensazione di divisione che certamente non ha aiutato i nostri elettori.

Di questo riparleremo, ma secondo lei quanti voti o quanti punti poteva valere una campagna elettorale di Berlusconi con tutti i crismi?

Mah, Berlusconi ha sempre dimostrato la sua efficacia: nel 2013, in un mese di campagna elettorale, aveva recuperato circa dieci punti rispetto ai sondaggi. Secondo me, quattro o cinque punti in più secondo me li vale tutti.

Torniamo allora al secondo turno delle elezioni…

Il secondo turno da una parte ha dimostrato in maniera chiara che questo “effetto 80 euro” è scemato, dall’altra c’è stato un tasso di astensione incredibile, ha votato praticamente un avente diritto su due. Prenda il caso di Bari, con un sindaco uscente come il Pd Michele Emiliano: ha partecipato al voto il 36% dei baresi e, di fatto, il sindaco uscito vincitore è stato eletto alla fine con il consenso del 20% degli elettori di Bari e rappresenta quella quota. Sin dai dibattiti cui ho partecipato la prima sera, poi, ho parlato di “voto del ribaltone”…

In che senso?

Su 30 capoluoghi, 18 hanno cambiato casacca; di 12 sindaci che chiedevano la riconferma per il secondo mandato, 8 sono stati mandati a casa. C’è stata una voglia di cambiamento che ha fatto sì che il nord andasse essenzialmente al Partito democratico, mentre il centrodestra ha vinto in regioni tradizionalmente “rosse” come l’Umbria e la Basilicata, ma il discorso vale anche per Padova. C’è stato dunque un voto con cui i cittadini hanno espresso il malessere in cui vivono rispetto all’amministrazione che li governava.

Leggendoli dal punto di vista di Forza Italia, cosa le comunicano quei dati?

Leggo che il nostro partito, laddove dà un volto unitario al centrodestra – come a Padova o a Perugia – e dà al contempo segnali di rinnovamento è indubbiamente un partito assolutamente vivo. Deve però ragionare su come riportare al voto i propri elettori: ritengo che la maggioranza di coloro che non sono andati a votare sia la fascia moderata che ci aveva votato negli anni scorsi.

Ragionando per ipotesi, cosa sarebbe potuto accadere se a queste elezioni fosse stato in campo il Pdl? E, a proposito, giuridicamente che fine ha fatto?

Giuridicamente il Pdl è assolutamente vivo, ha approvato ieri il suo bilancio: il consiglio nazionale del novembre scorso ne ha sospeso l’attività politica, ma come associazione ha ancora molti adempimenti da fare. Più in generale, devo dire che quando il Pdl è stato unito, ha ottenuto comunque risultati importanti. Ma, vede, qui il problema non è il Pdl, bensì l’unità: anche Forza Italia poteva ottenere risultati più importanti se fossero state evitate alcune scissioni che, mi permetto di dirlo, certamente non sono ascrivibili all’attuale Forza Italia. Il nostro elettorato, di fronte a divisioni, vede precarietà, mentre ha bisogno di scelte forti che in questo momento sono rappresentate da Matteo Renzi.

Eppure non è un mistero che Berlusconi spesso si era lamentato dell’esaurimento del potenziale attrattivo del nome, del simbolo, del progetto del Pdl, per cui Forza Itali era stata rimessa in campo anche per ovviare a questo.

È vero, ma in ogni caso Forza Italia subisce una scissione, vanno via molti rappresentanti… in queste condizioni certamente il partito, al di là della condanna di Berlusconi, vive un senso di precarietà e sbandamento: non è mai bello quando un partito si divide. Noi abbiamo pagato poi una riorganizzazione dal basso che non è partita, per cui è solo Berlusconi che prende il voto d’opinione; indubbiamente, infine, forse dobbiamo parlare anche noi di contenuti vicini ai nostri elettori.

In questo periodo qualcuno parla di primarie, altri di un partito che va profondamente ristrutturato. Cosa occorrerebbe fare?

Personalmente sono per una riorganizzazione dal basso, con congressi nei piccoli comuni come nelle grandi città, facendo leva su un senso di appartenenza anche attraverso il tesseramento. A livello di scelte apicali di coalizione, invece, ritengo assolutamente praticabile la scelta delle primarie: all’ultimo ufficio di presidenza si è parlato della scelta del candidato alla presidenza della regione Calabria a novembre ed è passata attraverso questa scelta.

Trova che in Forza Italia, come in molti altri partiti, ci sia un difetto di democraticità?

Guardi, assolutamente no: il dibattito che è in corso lo dimostra ampiamente. Quando uno ha le proprie idee le esprime; a differenza di altri partiti, da noi c’è sempre stato chi ha fatto la sintesi che è andata bene a tutti. Sono convinto che il dibattito che si è aperto e continuerà in Forza Italia alla fine ancora una volta produrrà l’unità del partito: vede, io trovo sempre sbagliato che quando uno ha un’idea, la porta avanti e si accorge di essere in minoranza nel partito, invece di combattere per quell’idea fa una scelta diversa.

Non c’è nemmeno una puntina di troppo di verticismo?

Eh, certo, è un partito verticistico, un partito leaderistico: è stato fondato da un uomo che per vent’anni ha dimostrato di avere consenso nel paese. Lei conti che cinque milioni di voti sono comunque arrivati, nonostante abbia votato la metà degli aventi diritto. Sicuramente questo dimostra che Berlusconi ha ancora il consenso del nostro elettorato: allora sa, finché qualcuno ha il consenso, perché mettersi a discutere? Questo naturalmente non significa che non occorra democrazia dal basso, secondo quanto le ho detto prima. Mi rifaccio alle parole chiave espresse anche da Fitto: novità, riorganizzazione dal basso, contenuti.

Come tradurle in concreto?

Per quanto riguarda gli strumenti per la riorganizzazione, mi auguro se ne possa discutere serenamente all’interno del partito: l’importante è che – e penso che anche Fitto l’abbia detto più volte, tutti lo vogliono mettere inutilmente in contrapposizione ma non ci riescono – la leadership di Berlusconi non è solo un fatto assodato, ma è assolutamente utile al nostro partito, ci auguriamo anche che ci venga restituito dalla Corte di giustizia europea un Berlusconi libero a tutti gli effetti.

Quella leadership però non è e non può essere eterna…

No, no, infatti lui stesso ha detto che se, per dire, le prossime elezioni arrivassero nel 2018, lui non sarebbe disponibile, indicando le primarie di coalizione come soluzione per individuare il candidato alla premiership. Per quanto riguarda Forza Italia il discorso è diverso.

Tra i temi urgenti da affrontare ci sono senz’altro le riforme, a partire da quella della legge elettorale: proprio in queste ore si parla con insistenza di un Berlusconi che, anche visti i risultati dei ballottaggi, vorrebbe tanto togliere di mezzo quel doppio turno che in fondo non gli è mai piaciuto. C’è spazio per questo e vi converebbe?

Come lei sa, sulle riforme è stato stipulato un patto che prevede, quanto alla legge elettorale, la formula che è stata votata e che – lo ricordo – ha affrontato il primo passaggio alla Camera con i voti determinanti di Forza Italia, in mancanza dei quali il testo forse sarebbe ancora a Montecitorio. Se dunque si deve modificare questa legge – che, come ha ricordato, nasce per noi da un compromesso, visto che la nostra preferenza era per il modello “spagnolo” – dovranno incontrarsi di nuovo Renzi e Berlusconi e discuterne.

Se però il doppio turno sparisse non credo che vi mettereste a piangere, o sbaglio?

Guardi, io sono stato sempre contrario, ma non tanto perché ci penalizza o meno. Parta dalle ultime elezioni, ma come responsabile elettorale posso citarle molti altri ballottaggi più risalenti: dopo 15 giorni, nella migliore delle ipotesi va a votare il 60% degli elettori, normalmente siamo sotto il 50%, ma si arriva anche al 35-40%. Lei immagini una competizione nazionale, con un secondo turno in cui l’affluenza arrivasse anche solo al 60%: vorrebbe dire che il 40% non ha scelto il vincitore. Escludendo il plebiscito, significa che chi tecnicamente vince rappresenterebbe il 35% degli italiani. Per me dunque è una scelta sbagliata; detto questo, le riforme si fanno con l’accordo di tutti, si trovano compromessi, ritengo che l’ampia fascia di persone che voteranno la riforma sia un valore superiore alla stessa riforma.

Comunque queste elezioni amministrative hanno mostrato anche un’altra cosa: com’era già accaduto a Parma, il MoVimento 5 Stelle vince nelle città perché qualcuno dei vostri lo vota…

Eh, il discorso può valere anche dall’altra parte, in situazioni in cui a rimetterci è stato qualcuno dei nostri.

Però mi pare chiaro che i candidati stellati non siano stati votati solo dai loro sostenitori diretti…

Assolutamente, certo.

Però con Grillo continuare a dire di non avere nulla a che spartire: è un voto “contro”, non a favore.

Ho parlato prima di voto del ribaltone: io penso che molta gente abbia votato dall’altra parte contro l’amministrazione locale, c’è stato questo “aiutino” per tutti, non solo per qualcuno.

Secondo lei come va a finire?

Credo che prima di tutto si debba pensare al paese, sfruttando assolutamente ciò che inizia tra meno di venti giorni, cioè il semestre italiano di presidenza UE, facendolo con la massima coesione. Attraverso il turismo, l’abbattimento del costo dell’energia e altre riforme, questo paese deve ripartire. Credo che questo interessi davvero ai cittadini e su questo dobbiamo concentrarci.

Renzi arriva al 2018?

Guardi, io penso di no; spero che duri almeno un altro anno per portare avanti riforme fondamentali, come quella elettorale e quella del Senato; ho però l’impressione che le troppe promesse fatte in modo così rapido verranno al pettine. Proprio oggi qui alla Camera stiamo discutendo il decreto Irpef: non ci sono ancora le coperture degli 80 euro, così come per le altre promesse, ad esempio sulle partite Iva. Credo che, quando i cittadini italiani dovranno pagare la Tasi, si renderanno conto di aver pagato molto più di quanto anno ricevuto e lì credo che la luna di miele finirà.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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