Sardegna, la legge che obbliga la PA a dire “sindaca” e “assessora”

Pubblicato il 13 Ottobre 2016 alle 17:48 Autore: Giacomo Salvini

“Assessora”, “Sindaca” e “Presidentessa”. Da ieri, in Sardegna, il linguaggio amministrativo cambierà completamente per “rispettare l’identità di genere” anche nella macchina burocratica della Regione. A prevederlo è l’articolo 6 bis della nuova legge regionale sulla semplificazione approvata ieri dal Consiglio Regionale in cui il Partito Democratico ha la maggioranza. L’articolo, scrive stamani la Stampa, si intitola: “Sviluppo delle politiche di genere e revisione del linguaggio amministrativo”.

Sardegna, legge per rispettare “l’identità di genere”

“Per garantire lo sviluppo delle proprie politiche di genere – recita il testo della legge – la Regione riconosce e adotta un linguaggio non discriminante, rispettoso dell’identità di genere con l’identificazione sia del soggetto femminile che del soggetto maschile negli atti amministrativi, nella corrispondenza e nella denominazione di incarichi, di funzioni politiche e amministrative”. E cosa succede a chi non rispetta le nuove disposizioni e continua ad utilizzare i sostantivi al maschile? Niente, nessuna sanzione. “Abbiamo pensato che potesse essere soprattutto uno strumento educativo più che punitivo” è la giustificazione dell’Assessore alle Riforme, Gianmario Demuro. L’articolo è stato approvato grazie alla consigliera regionale del Centro Democratico, Annamaria Busia, che ha inserito l’emendamento nel testo di legge regionale. Secondo l’Ansa, Busia ha ricevuto anche la telefonata di congratulazioni da parte di Cecilia Robustelli, docente di Linguistica Italiana all’Università di Modena e collaboratrice dell’Accademia della Crusca sui temi del genere e della politica linguistica italiana in Europa. Robustelli si occupa da tempo della battaglia sul lessico di genere nella politica italiana.

tetto stipendi La presidente della Camera Laura Boldrini

La lunga battaglia di Laura Boldrini

La questione dell’identità di genere nei vocaboli legati alle cariche pubbliche è stata sollevata con molta forza da Laura Boldrini, dal primo giorno del suo insediamento come Presidente della Camera. Nel marzo 2015, Boldrini inviò a tutti i deputati una lettera in cui li invitava ad “adeguare linguaggio parlamentare al ruolo istituzionale, sociale e professionale assunto dalle donne e al pieno rispetto delle identità di genere” superando la “resistenza culturale” ancora oggi in atto. Il dibattito è riemerso nel giugno scorso, quando Virginia Raggi a Roma e Chiara Appendino a Torino sono state elette alla carica di primo cittadino della propria città. La Raggi aveva mostrato particolare indifferenza rispetto al tema e aveva chiesto, durante la trasmissione Un Giorno da Pecora, di chiamarla “Sindaco” mentre discorso inverso va fatto per la sua collega di Torino, Chiara Appendino.

@salvini_giacomo

L'autore: Giacomo Salvini

Studente di Scienze Politiche alla Cesare Alfieri di Firenze. 20 anni, nato a Livorno. Mi occupo di politica e tutto ciò che ci gira intorno. Collaboro con Termometro Politico dal 2013. Su Twitter @salvini_giacomo
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