Ecco come l’Iran potrebbe mettere alle strette Trump

Pubblicato il 10 Febbraio 2017 alle 12:37 Autore: Redazione
politica estera americana

Ecco come l’Iran potrebbe mettere alle strette Trump

Un nuovo fronte caldo pare essersi aperto per la neo insediata amministrazione #Trump. Dopo il disgelo iniziato con l’esecutivo guidato da #Obama,  l’#Iran, tradizionale culla dell’Islam sciita, torna a rappresentare una sfida aperta per gli Stati Uniti. Il 29 gennaio scorso, il paese della guida suprema Ayatollah Khomeini aveva testato con successo un missile balistico a medio raggio, proiettandolo nei cieli del paese per una distanza di almeno 600 chilometri.

L’Iran non è certo nuovo a esercitazioni che hanno per oggetto armamenti all’avanguardia. Tuttavia, va da sé che l’importanza di un test di successo per un simile vettore risiede proprio nella sua capacità di coprire un ampia porzione regionale e sicuramente, nelle ambizioni di Teheran, di porre una minaccia che si estende per l’intero Golfo Persico, senza escludere #Turchia e soprattutto #Israele.

Tradizionalmente considerato al vertice della classifica dei rogue state, stati canaglia, l’Iran pareva avviato, con la ratifica degli accordi siglati nell’estate 2015 tra il paese medio-orientale e il gruppo cosiddetto “P5+1” (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU e la Germania) ad imboccare la via del disgelo più o meno moderato con gli Stati Uniti.

L’accordo, che verteva sull’impedire all’Iran di arrivare alla produzione di materiale nucleare sufficiente per la produzione di testate atomiche nell’arco di dieci anni da parte americana, fu giudicato dapprima un mirabile risultato da buona parte della comunità internazionale e successivamente aspramente criticato dalla fronda Repubblicana del Congresso così come dal vicino più direttamente avverso alla questione, Israele. Tale accordo fu anzi uno dei punti cardine di frizione tra Benjamin Netanyahu e Barack Obama.

Politica estera americana: come l’Iran potrebbe mettere alle strette Trump

La sensazione, basandosi sulla fiera soddisfazione che traspare dalla elite iraniana sia in questi giorni di critiche feroci che lungo l’arco dello scorso anno, è quella di un accordo raggiunto in fretta, in gran parte dettato dall’esigenza di arrivare comunque ad un risultato, per quanto sfavorevole ai propri interessi, da parte dell’ex segretario di stato John Kerry e degli altri funzionari americani addetti alla diplomazia a Vienna.

In soldoni, ciò che traspare è il permanere della capacità di Teheran di arrivare alla produzione di testate nucleari senza che l’accordo ne abbia scalfito in concreto le possibilità, come se il primo ministro Hassan Rohani avesse giocato a carte coperte, offrendo specchietti per allodole a una controparte frettolosa. Di converso, l’allarme per Israele, già alle prese con le pressioni di Hezbollah, si è intensificato e nuovi sforzi nella costruzione e progettazione di sistemi anti-missilistici sono aumentati nel corso dello scorso anno. Arrow 3 è solo il più recente test di successo per questi scudi di intercettazione vettoriale da parte di Tel-Aviv.

Quale che fosse la realtà emergente dalle righe dell’accordo di Vienna, è sicuro che nell’immediato la firma ha comportato un disgelo nelle storicamente travagliate relazioni tra Iran e Stati Uniti. Un tratto di penna non poteva bastare a cancellare quasi quarant’anni di tensioni diplomatiche e tuttavia, come già altre volte in passato, pareva prefigurarsi la via del dialogo.

Ma il persistere di tale evenienza sembra ora venire meno. Con il test missilistico di gennaio è probabile che l’Iran abbia voluto mettere alla prova il nuovo corso della presidenza USA. Del resto, come Trump avrebbe reagito non poteva essere materia scontata, data l’imprevedibilità a cui il tycoon aveva abituato l’opinione pubblica. Un tweet fulminante in cui si prometteva la fine dell’indulgenza del vecchio presidente da parte di Donald Trump ha anticipato commenti al vetriolo dei rispettivi ministeri degli esteri e di varie segreterie.

“Da oggi mettiamo l’Iran sull’avviso” dichiarava Mike Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale di Washington all’indomani del test balistico. “Ringraziamo Donald Trump perché ci ha aiutato a mostrare il vero volto dell’America” è il commento laconico della guida suprema dell’Iran Ali Khamenei, “il popolo risponderà nelle manifestazioni del 10 febbraio” (anniversario della rivoluzione khomeinista, ndr). E intanto, l’Iran ha testato proprio in questi giorni, e con successo, un altro missile balistico. Stavolta, con una gittata ancora più ampia (750km).

Paolo Cazzini

L'autore: Redazione

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