Legge Elettorale: è arrivato il momento di prendersi le proprie responsabilità

Pubblicato il 15 Febbraio 2017 alle 15:53 Autore: Andrea Balossino
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Legge Elettorale: è arrivato il momento di prendersi le proprie responsabilità

Nonostante siano state rese pubbliche ormai da giorni le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale sull’#Italicum, ancora nulla si muove sul fronte della #legge elettorale. Decine di proposte in campo ma nessuna trattativa, con il Parlamento che resta in colpevole attesa.

Si attende ancora una volta il PD, trasformato ormai da mesi nel comodo “punching ball” degli altri partiti, stretto tra il senso di responsabilità nel sostegno al governo (con ovvie ricadute sul gradimento e dunque nelle urne) e il desiderio forte di un’altra tornata elettorale per potersi comunque cavar fuori da questa situazione insostenibile, alla quale si sono aggiunti i prevedibili strascichi negativi interni dopo il capitombolo referendario di Renzi e l’annuncio del Congresso.

Il timore è che ci toccherà attendere proprio l’esito della resa dei conti interna al Partito Democratico e la temuta e probabile scissione, per assistere a qualche passo avanti sulle regole elettorali.

Legge Elettorale: è arrivato il momento di prendersi le proprie responsabilità

Ancora una volta sono gli interessi particolari, di partito e purtroppo anche di corrente, a guidare questa fase. Il voto del 4 dicembre, che ha sancito l’impossibilità nei fatti di modifiche alla Carta Costituzionale, sta producendo i prevedibili effetti distruttivi su quel che resta di un ordine politico razionale, con partiti minori e minoranze interne letteralmente estasiati dalle prospettive che si sono venute ad aprire.

Con somma gioia scopriamo le intenzioni di Casini, pronto a tornare con la solita solfa del Grande Centro (un’idea davvero innovativa) e osserviamo un ringalluzito e ringiovanito D’Alema alla Direzione del PD di lunedì, pronto a distruggere la creatura figlia dell’Ulivo e di Prodi (provo una vaga sensazione di dejà vu), per tentare l’ennesimo salvataggio di una classe dirigente ultrariciclata e fallimentare che però non intende mollare.

Renzi ha parlato di “ricatto morale” della scissione ed è difficile dargli torto. Soprattutto perché, a meno di ribaltoni clamorosi domenica in Assemblea, quando verranno decisi tempi e regole del Congresso, è probabile che la scissione avvenga solo dopo, se la minoranza (che per coerenza sembra voglia presentarsi a sfidare Renzi con tre candidati, per aumentare al massimo le possibilità di sconfitta) non riuscisse a prevalere sull’attuale segretario.

Se questo scenario dovesse verificarsi sarebbe solamente la riprova della assoluta strumentalità della battaglia condotta dalla minoranza contro Renzi per tutta la durata del suo mandato e la scissione costituirebbe solo l’ennesimo dispetto o sgambetto al giovane fiorentino che ha osato scalare il Partito. Il tutto con buona pace degli iscritti e perché no, anche della democrazia.

Mentre il PD si prepara dunque alla resa dei conti (l’ennesima), il resto dei partiti è diviso tra la noiosissima guerra dei 5 Stelle contro la stampa, arricchita ogni giorno da nuovi e appassionanti capitoli e il campo di destra confuso, ancora ostaggio da una parte del #sovranismo d’oltralpe e oltreoceano e dall’altra delle speranze di Berlusconi di poter giocare un ruolo decisivo nella formazione di una futura maggioranza. La situazione è drammatica.

A dominare è l’incertezza che si riflette nell’immobilismo parlamentare anche su una questione centrale e non più rinviabile come la legge elettorale. Sono ormai anni che questo Paese si aspetta dal suo Parlamento regole elettorali normali, dopo l’introduzione del famigerato Porcellum.

La soluzione più naturale sarebbe quella proposta dal PD: un ritorno al #Mattarellum vigente prima della legge Calderoli, ma le condizioni del Paese non sono più quelle di allora e senza modifiche, la situazione tripolare attuale finirebbe col neutralizzare lo spirito stesso della legge che porta il nome del Presidente della Repubblica.

Scartando a priori l’opzione maggioritaria pura, resta solo il proporzionale in tutte le sue forme, adattissimo alla nostra architettura costituzionale ma portatore di una serie di conseguenze naturali (maggioranze deboli, continui cambi di governo, etc.), alle quali anche il “Popolo della Costituzione” sembra essere ormai diventato allergico (l’ironia della sorte ha voluto che le fila dei difensori della Carta abbondino i sostenitori della fine teoria politica del “premier non eletto da nessuno”).

L’immobilismo e la pavidità del Parlamento sulla legge elettorale non sono più tollerabili. I partiti si impegnino per ripartire davvero dalla Costituzione e dai suoi principi, devono rinnovarsi e recuperare una dialettica parlamentare ed extraparlamentare improntate al confronto critico ma che portino finalmente ad una sintesi il più possibile condivisa e che punti al bene del Paese, sforzandosi di interpretare la fase storica nella quale ci troviamo, come ha lodevolmente ricordato Gianni Cuperlo nel presentare la sua proposta di riforma elettorale.

Altrimenti, il rischio al quale andiamo incontro è la definitiva paralisi del sistema e quando questo avviene, la Storia ha dimostrato che a subentrare sono sempre dispotismo e totalitarismo. La democrazia non sarà la miglior forma di governo, ma le alternative sono decisamente peggio.