Sinistra Radicale: la profezia di Corrado Guzzanti si è avverata

Pubblicato il 17 Febbraio 2017 alle 13:30 Autore: Federico Gonzato
sinistra radicale

Sinistra Radicale: la profezia di Corrado Guzzanti si è avverata

Sette anni fa, nei panni dell’allora leader di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti, uno straordinario Corrado Guzzanti aveva tentato di spiegare la nuova strategia della sinistra, affidandosi ad un parallelismo con il mondo animale: “Oggi i grandi animali non fanno più paura a nessuno. Di cosa abbiamo paura? Dei virus! E allora dobbiamo continuare a scinderci sempre di più, e creare migliaia di microscopici partiti comunisti che cambiano continuamente nome e forma, nome e forma”. Ed infine chiudeva dicendo: “E inoltre vorrei aggiungere, questi grandi e goffi partiti del bipolarismo finiranno divorandosi da soli, come i dinosauri, lasciando eredi della terra i piccoli roditori – le piccole formazioni della sinistra –  che finalmente potranno uscire dalle loro tane e dare inizio ad una nuova era sociale”.

Bertinotti: la nuova strategia della Sinistra... (Corrado Guzzanti)

Sinistra Radicale: la profezia di Corrado Guzzanti si è avverata

Un’interpretazione visionaria, quella di Guzzanti, che tuttavia, ad oggi, pare uno sguardo d’insieme della sinistra nel nostro paese. Che la storia della sinistra nostrana sia una storia di divisioni e frammentazioni, d’altronde, è un qualcosa di risaputo. Dalla svolta della Bolognina, quando il segretario Pci Achille Occhetto impresse la virata socialdemocratica al partito, in poi, la sinistra non è stata più la stessa. Nel 1991, la nascita dell’allora Pds fece scattare la prima significativa e recente scissione che portò alla formazione del Partito della rifondazione comunista guidato da Armando Cossutta e da Sergio Gavarini, ex segretario confederale comunista.

Da lì in poi, litigi, scontri, divisioni ed esperienze di ricompattamenti come l’esperienza dell’Ulivo, fino alla coalizione elettorale Unione, che in ottica anti-berlusconiana aveva riunito attorno al federatore Romano Prodi forze che andavano dall’UDEUR di Mastella fino al Partito dei Comunisti Italiani. Sappiamo bene come andò a finire. La nascita del PD poi, nel 2007, aveva lo scopo di andare a federare una volta per tutte le varie anime della sinistra. Fu l’incontro delle culture politiche cristiano-riformista e socialdemocratica, con l’obiettivo di una formazione di centrosinistra a vocazione maggioritaria.

Oggi, questo grande progetto sembra, ed anzi, è in grande pericolo. Prima con l’uscita di Giuseppe Civati e la nascita di Possibile, fondato nel giugno 2015, poi con la nascita del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana, con i fuoriusciti del PD Fassina e D’Attorre e SEL, ed ora con la probabile fuoriuscita della minoranza del PD, nelle varie figure di Bersani, D’Alema, Speranza &Co, il campo della sinistra è nel caos.

Frammentazioni nate in questi ultimi mesi, durante la segreteria di Matteo Renzi, leader divisivo, che ha messo in discussione, in particolare con Jobs Act e riforma costituzionale, i valori della sinistra e dello stesso PD. “Il punto di fondo – ha sostenuto Roberto Speranza nella direzione del Pd di lunedì –  è che rispetto a un mondo che è cambiato e a una domanda di protezione dei ceti più deboli che non riconoscono più la sinistra come interlocutori, siamo di fronte all’incapacità di fornire una risposta. Il Congresso, che penso sia auspicabile, ha senso se prova a partire da qui rispondendo a questo tema”.

Un progressivo allontanamento dalla base, dai ceti e dall’elettorato di riferimento dunque, che ha portato alcuni baluardi della sinistra, come ad esempio la tutela dei lavoratori, in mano alle nuove destre sociali. Pare sia quindi necessario riappropriarsi dei valori della sinistra, ormai troppo compromessa dalle alleanze con il centrodestra e i vari Alfano e Verdini. “Non deve più succedere che, come è accaduto negli ultimi tre anni, si possa pensare che parte del centrosinistra governi con la destra. Questo non lo voglio più vedere”, sono queste, per l’appunto, le parole programmatiche con le quali Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano, ha dato vita a Campo progressista, nuovo soggetto politico alternativo di sinistra.

Un Pisapia accolto come “il nuovo Prodi” da Bruno Tabacci, un futuro federatore dei progressisti, per un nuovo Ulivo in sostanza. Ma, neanche il tempo di accogliere questo nuovo soggetto dalle aspirazioni federatrici, che partono subito i distinguo: “Il progetto di Pisapia è serio ma è malposto”, commenta a caldo un cauto Pippo Civati, segretario di Possibile. E continua poi dicendo: “Se Pisapia e chi aderisce al suo movimento vogliono fare la stampella di sinistra del Pd renziano, noi non ci siamo. Se invece intendono proporre una lista senza il Pd, allora possono contare sul nostro appoggio”.

Non bisogna dimenticare poi ConSenso, il progetto politico di Massimo D’Alema che a detta del “lider massimo” potrebbe raggiungere il 10%. Potrebbe, perché l’effettiva domanda da porsi, in questa situazione in cui nuovi soggetti nascono uno dopo l’altro a sinistra, è quella che oggi sul suo account Facebook propone il decano Emmanuele Macaluso: “C’è un partito capace di fare politica assieme al popolo?”. E’ un quesito importante da porsi, dato che ormai lo spazio politico a sinistra appare saturo di movimenti e gruppi. Ponendolo con altri termini: le nuove formazioni e partiti hanno un radicamento sociale, o sono semplici prodotti di scissioni parlamentari?

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Sinistra radicale: uno sguardo all’Europa

La risposta positiva o negativa a tale quesito è decisiva nel tentativo di capire quale futuro possano avere queste nuove formazione alternative nel mondo progressista. E proprio a proposito di forze alternative di sinistra, non si può dunque che allargare lo sguardo all’Europa, a quelle esperienze di nuova sinistra, populiste nell’idea di molti osservatori, che sono riuscite, in alcuni casi, a trovare affermazione.

Una su tutte, alla quale, in Italia, fa il verso il movimento Possibile, è l’esperienza di Podemos, che tra l’altro in questi giorni esce rinnovato e rafforzato dall’assemblea generale di Vistalegre (Madrid). Podemos è una forza che nel panorama europeo viene classificata come populista, mischiandola molto spesso con l’M5S o le forze della destra come la Lega di Salvini o il Front National della Le Pen.

Ma in realtà Podemos può essere considerato come l’esempio più interessante e riuscito, nei suoi intenti, di un movimento, ora partito, che si pone in alternativa all’ormai classico connubio di governo fra le tradizionali formazioni di centrodestra e centrosinistra (SPD/CDU in Germania, PD/NCD e centristi in Italia).

Quello di Podemos è un esperimento riuscito di sinistra alternativa perché non solamente presenta programmaticamente una netta opposizione al neoliberismo e alle dinamiche sulle quali la sinistra tradizionale si è appiattita, ma anche perché scaturisce, nasce da una struttura di base a carattere civico. Il movimento di Pablo Iglesias vede la luce infatti a partire dall’esperienza del Movimiento 15-M, quello degli Indignados, dilagato in Spagna nel maggio 2011. Un movimento dunque con un base sociale forte, radicata, e propulsiva: il fattore del successo di Podemos. Un fattore che forse manca alle tante, nuove, sinistre italiane.

In Francia, dove fra non molto si correrà per le presidenziali, la situazione a sinistra pare più simile al caso italiano: frammentazione, con divisioni anche interne allo stesso partito. Il tradizionale partito di sinistra, il Partito socialista, si presenta con Benôit Hamon, vicino alla sinistra radicale, sostenitore del “reddito universale”.

I moderati che sostenevano l’ex premier Valls, sconfitto alle primarie del centrosinistra, probabilmente si sposteranno su Emmauel Macron, liberale di sinistra ma tendente al centro, liberista sul piano economico, a capo del suo “En Marche” (In Marcia). E poi c’è tutta la galassia dell’estrema sinistra con il Parti de Gauche (Parito di Sinistra) ed il suo leader candidato alla presidenza Jean-Luc Mélanchon.

Una frammentazione dunque, quella della sinistra francese, altrettanto forte, sintomo dell’effetto divisivo della presidenza di François Hollande, scatenato in primis da provvedimenti come il “Loi Travail”, potremmo dire il cugino francese del Jobs Act italiano, la riforma del lavoro targata Matteo Renzi. Riforme del lavoro entrambe considerate per l’appunto lontane dai valori della sinistra. Francia e Italia accomunate dunque da una situazione simile, almeno nel grande mondo della sinistra.

In Germania, invece, pare forte ancora la supremazia dell’SPD a sinistra, con il candidato alla cancelleria Martin Schulz addirittura in netta crescita negli ultimi sondaggi su Angela Merkel e la CDU. Schulz beneficia da un’effetto sorpresa, sicuramente destato dal ritiro della candidatura di Sigmar Gabriel, vice cancelliere nei governi di grosse koalition tra SPD e CDU a guida Merkel.

Federico Gonzato

L'autore: Federico Gonzato

Veronese, classe 1995. Nel luglio 2017 si laurea con lode in Scienze politiche all'Università di Padova. Studia Mass media e politica presso l'Università di Bologna - Campus di Forlì. Appassionato di giornalismo politico e società, segue l'attualità e il dibattito politico interno. Amante della lettura e della pallavolo, milanista nostalgico. Per Termometro Politico mi sono occupato di politica interna. Ora scrivo di Esteri, in particolare di politica d'Oltre Manica.
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