Proteste Tassisti: Uber, parafrasi di una globalizzazione in crisi

Pubblicato il 23 Febbraio 2017 alle 12:49 Autore: Redazione
sondaggi politici, proteste tassisti

Proteste Tassisti: Uber, parafrasi di una globalizzazione in crisi

È il libero mercato ad azzerare quella concorrenza che vorrebbe stimolare? Le interruzioni della regolare viabilità pubblica e Montecitorio assediata dalle ire dei tassisti romani non daranno magari una risposta netta, ma sono un più di un indizio che sostiene un quesito ormai uscito troppo allo scoperto per essere ritenuto parente di una malsana astrazione filosofico-teoretica.

Dall’Atlantico al Mediterraneo, dalle mire isolazionistiche di Trump alle incertezze economico-lavorative delle politiche di Bruxelles, la sensazione della classe produttiva – una categoria che la corrente marxista definirebbe “lavoratori dei mezzi di produzione” – è che ci sia una sorta di incompatibilità fra le difficoltà dalla stessa e la reattività istituzionale nel saperle recepire ed affrontare.

Proteste Tassisti: Uber, parafrasi di una globalizzazione in crisi

La scia della rivolta dei tassisti in tutta Italia è una dimostrazione plastica anche dei disagi dello Stivale rispetto alla rapidità di esecuzione della globalizzazione, che viene additata come motore di una disomogeneità, e l’occupazione mondiale – a cavallo tra l’improduttività sud-europea e le delocalizzazioni industriali negli Stati Uniti – ne soffre la portata mastodontica.

Ciò che viene messo al bando è la forsennata velocità con la quale l’unificazione dei mercati internazionali s’è profilata, lasciando ad annaspare le frange operative – inesorabilmente indebolite – che avrebbero potuto essere sincronismi fondamentali di questo automatismo. Dunque, la globalizzazione scivola su una primaria certezza, date le sue propensioni alla semplificazione e all’accelerazione dei processi produttivi: assicurare al proletariato – sempre volendo rispolverare Marx – un ruolo di rilievo.

Questo è frutto di un’errata comprensione della distanza che separa il publico dal privato: le liberalizzazioni stanno interpretando una funzione alquanto cruda nel mercato del lavoro contemporaneo, suggerendo deregolamentazione e flessibilità quali formule assolute per risanare gli squilibri esistenti fra precariato e garanzia di un’occupazione. In uno scenario così orfano di tutele, la competitività diventa la diga per arginare le richieste di centinaia di migliaia di lavoratori sparsi per il globo, il muro di cinta per contrastare il ritorno di modelli di società basati sul mutuo soccorso e sulla solidarietà. Ossia su principi che cozzerebbero con il predominio del commercio.

Tornando all’origine, le ultime circostanze legate alle rimostranze dei Taxi sono il contorno di un quadro altamente complicato da recensire: sospendere gli obblighi normativi – volti a regolare un certo tipo di servizio -, ponendo in contrasto settori che legislativamente non apparterrebbero nemmeno allo stesso ambito, oltre a non sembrare una scelta saggia, dimostra che il comparto politico-governativo abbia non pochi problemi a disaminare la realtà. Ecco, dunque, svelato l’arcano: i meccanismi del neo-liberismo, all’interno delle istituzioni contemporanee, stanno subordinando le comunità al rispetto filiale delle dinamiche tecno-economiche, e l’Italia, in forza di ciò, sta preferendo destrutturare il proprio Stato Sociale, ampliando il distacco fra la classe produttiva e quella politica. Guardando a ritroso, forse Uber non è il male per antonomasia.

Alex Angelo D’Addio

L'autore: Redazione

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