Movimento 5 Stelle: lo scontro con Renzi su lavoro di cittadinanza e vitalizi

Pubblicato il 28 Febbraio 2017 alle 14:51 Autore: Camilla Ferrandi
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Movimento 5 Stelle: lo scontro con Renzi su lavoro di cittadinanza e vitalizi

Tornato dalla California, dove è andato a “imparare da chi sta costruendo il domani prima degli altri”, Renzi, ospite domenica a Che tempo che fa, lancia una proposta: il lavoro di cittadinanza. Obiettivo: rilanciare il welfare italiano e garantire un’entrata minima a poveri e disoccupati. Idea rubata ai cinque stelle? No, sostiene il democratico. Il punto di partenza è lo stesso: uno stato sociale deve garantire livelli minimi di sussistenza.

L’obiettivo, diverso: “Garantire uno stipendio a tutti non risponde all’art. 1 della Costituzione, che parla di lavoro, non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio, ma anche dignità”, spiega Renzi a Fabio Fazio. Sta proprio qua, sottolinea, la differenza tra il reddito di cittadinanza grillino e il lavoro di cittadinanza renziano. “La soluzione – continua – è quella di porre le condizioni per dare lavoro”. È, dunque, sostiene l’ex primo ministro, la sostanza del concetto a variare, non solo la dicitura.

Ma vediamo più da vicino le due proposte alternative, quella di Matteo Renzi e quella del Movimento 5 stelle.

Movimento 5 Stelle: lavoro di cittadinanza

Il piano di Renzi non parte dal nulla. Infatti, proprio questa settimana, il Senato dovrebbe approvare, in via definitiva, il disegno di legge delega per la lotta alla povertà. L’approvazione vale, a regime, 1,8 miliardi di euro. Abbastanza per erogare fino a 400 euro al mese all’85 per cento delle famiglie con un reddito inferiore ai 3mila euro annui. Il progetto renziano punta ad allargare il bacino dei possibili beneficiari del sussidio previsto dal ddl menzionato, trasformandolo in “reddito di inserimento”. Questo andrebbe a beneficio di coloro che hanno redditi inferiori agli 8mila euro l’anno. Il programma, dunque, costerebbe 4,5 miliardi di euro all’anno, garantendo, in media, 500 euro al mese a poveri e disoccupati.

Il piano del Movimento 5 stelle, invece, già proposta di legge (n. 1148), promette fino a 780 euro mensili a persona per un massimo annuo di 37.440 euro per le famiglie più numerose.

L’ISTAT stima un ammontare di costi pari a circa 15 miliardi di euro all’anno. Per quanto riguarda il lavoro, con il reddito di cittadinanza grillino il disoccupato potenzialmente percepente del sussidio deve immediatamente iscriversi al centro per l’impiego. Il “lavoro di cittadinanza” renziano, invece, prevede un immediato (almeno in teoria) inserimento nel mondo del lavoro. Non si percepisce, dunque, il sussidio perché cittadini, ma perché si è lavoratori. Ad essere tutelato è, prima di tutto, il diritto al lavoro dei cittadini, per cui ognuno deve essere nelle condizioni di poterlo svolgere.

La replica del vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, arriva immediatamente: “Renzi non ha ancora capito la portata della batosta di dicembre. Prende il reddito cittadinanza, la nostra proposta, e la sostituisce con lavoro cittadinanza. Queste sono solo operazioni di marketing politico che lo continuano a danneggiare, i cittadini lo hanno capito”. Aggiunge tuonando: “Non c’è bisogno di arrivare in California per ammiccare alle nostre proposte e farne uno slogan”. Gli attacchi alla proposta renziana non arrivano solo dal M5S, ma anche da destra e sinistra. “Parla Renzi o Crozza?”, attacca la deputata FI Maria Stella Gelmini. “

Il lavoro di cittadinanza? Un’idea di Berlusconi della settimana scorsa”, incalza Pippo Civati. E anche da Sinistra Italiana arriva una bocciatura: “Occupazione e Green economy, Renzi scopre ciò che ha distrutto”, sottolinea Nicola Fratoianni. Ovviamente, repliche negative giungono anche da casa Pd: “Il lavoro di cittadinanza non sappiamo cosa sia. I giovani avranno bisogno della pensione di cittadinanza”, pungola Cesare Damiano.

Movimento 5 Stelle scontro con Renzi sui vitalizi

Ad aumentare la diatriba Movimento 5 Stelle/Matteo Renzi, il dibattito attorno alla “guerra ai vitalizi”. Ieri il M5S ha presentato la propria proposta in tema di pensioni parlamentari. Si tratta di armonizzare il regime previdenziale dei deputati e dei senatori con quello dei lavoratori pubblici e privati. Anche in relazione all’età di maturazione del trattamento pensionistico.

Come realizzarlo? Non attraverso una proposta di legge. Questa è la via percorsa dal Partito Democratico con il ddl Richetti, fermo in Commissione Affari Costituzionali da dicembre 2015. Ma per mezzo di una delibera dell’Ufficio di Presidenza di Camera e Senato.

I due organismi parlamentari, secondo la proposta cinque stelle, dovrebbero approvare un regolamento ad hoc per il trattamento previdenziale dei deputati o dei senatori eletti nella XVII legislatura. Il regolamento entrerebbe in vigore il giorno successivo della sua approvazione, e sarebbe così immediatamente applicabile ai parlamentari attualmente in carica.

“Per la nostra proposta ci vogliono due giorni di lavoro #bastaunsi”. Commenta Alessandro Di Battista, ironizzando sullo slogan del Sì al referendum di renziana memoria. “Visto che Matteo Renzi non è in Parlamento, ti rispondo io su vitalizi: in attesa della tua proposta che ne dici di votare la mia?”. Ribatte Matteo Ricchetti, primo firmatario del ddl Pd sulle pensioni parlamentari.

Movimento 5 Stelle: necessità di sintesi

Che sia campagna elettorale o meno, “guerra ai vitalizi” e “reddito di cittadinanza/di lavoro” sono diventati gli argomenti del dibattito politico delle ultime settimane. Anche se sussistono differenze in termini di raggiungimento, gli obiettivi delle due maggiori forze politiche in campo, Movimento 5 Stelle e PD, sono gli stessi. Infatti, tutte le proposte in merito mirano a risolvere due problemi percepiti come tali da entrambi i partiti. Povertà e disoccupazione da un lato, privilegi dei parlamentari dall’altro.

Se etica e responsabilità fossero i fari guida della dinamica democratica italiana, M5S e PD arriverebbero ad un compromesso. Utopia? Forse sì. La dinamica politica si è andata via via a strutturare in due parti perché diverse erano le percezioni dei problemi da risolvere e le proposte da promuovere.

Infatti, ognuna delle parti difendeva determinate categorie, portatrici di diversi interessi e necessitanti di differenti tutele. Ma in questo caso, la categoria da tutelare è la stessa, ovvero i cittadini con problemi economici. Simili sono gli strumenti individuati da M5S e Pd, “guerra ai vitalizi” e “reddito di cittadinanza/lavoro”.

La mediazione sarebbe un diktat in democrazia, anche se non sembra. In questo caso, viste le premesse, lo è ancora di più.

L'autore: Camilla Ferrandi

Nata nel 1989 a Grosseto. Laureata magistrale in Scienze della Politica e dei Processi Decisionali presso la Cesare Alfieri di Firenze e con un Master in Istituzioni Parlamentari per consulenti d'assemblea conseguito a La Sapienza. Appassionata di politica interna, collaboro con Termometro Politico dal 2016.
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