Sondaggi politici SWG: ai minimi predisposizione a interventismo militare

Pubblicato il 30 Maggio 2017 alle 10:47 Autore: Alessandro Faggiano
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Sondaggi politici SWG: cala al minimo predisposizione a interventismo militare

Una gran parte degli italiani non vuole che il proprio Paese invii truppe in terra straniera. Gli interventisti sono passati ad essere una minoranza (uno su tre). Cala quasi di 40 punti percentuale rispetto al 2005, picco legato alla guerra in Iraq. Il sondaggio di SWG – che riprende dati basati sulla predisposizione degli italiani all’interventismo militare – mostra una chiara inversione di rotta prodotta durante l’ultima decade. Analizziamo l’evoluzione della tendenza e i suoi possibili effetti sul piano politico.

Sondaggi politici SWG, interventismo militare: si passa dal 70% del 2005 al 31% del 2017

Dopo il picco del 2005 – in cui la gran maggioranza della popolazione si definiva molto o abbastanza d’accordo con la partecipazione in missioni militari all’estero – la predisposizione all’interventismo è calata progressivamente. Si rilevano tre “cadute” importanti: tra 2005 e 2007 (nel quale la percentuale di approvazione dell’interventismo scende dal 70 al 56%); successivamente, tra 2010 e 2011, il dato scende dal 51% al 39%.

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Dopo una “ripresa” dell’interventismo tra 2013 e 2016 – dovuto alla contingenza in Medio Oriente e, in particolare, alla grave situazione siriana – questa predisposizione è tornata a calare bruscamente. Dal 44% di consenso  del 2015 e 2016 per questo codice geopolitico, questo è sceso radicalmente nell’ultima rilevazione del 2017. Attualmente, solo il 31% degli italiani si trova d’accordo con la partecipazione del proprio Paese in missioni militari all’estero.

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Sondaggi politici SWG, interventismo militare: gli effetti di protezionismo e isolazionismo

La narrativa sviluppata dai sovranisti – includendo Movimento 5 Stelle, Lega Nord e Fratelli d’Italia – propone una politica economica protezionista e con un minor interventismo militare. Il protezionismo viene adottata come tattica per una strategia in chiave anti-europea; verte principalmente sul lato economico e si poggia, in parte, sul nazionalismo. Il ridimensionamento dell’interventismo, invece, questiona la politica di difesa e sicurezza europea. Il tentativo di smarcarsi dalle linee comunitarie “fa il paio” con il protezionismo, pur agendo – il primo – nella vertente politica e, in parte, nella sociale. Il protezionismo, come detto, opera nella vertente economica. Le due tattiche si retroalimentano per effetto del significante che li unisce, ovvero il nazionalismo antieuropeista.

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L'autore: Alessandro Faggiano

Caporedattore di Termometro Sportivo e Termometro Quotidiano. Analista politico e politologo. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi di Salerno e con un master in analisi politica conseguito presso l'Universidad Complutense de Madrid (UCM).
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