Legge elettorale: ecco come funziona il sistema tedesco

Pubblicato il 31 Maggio 2017 alle 12:44 Autore: Emanuele Vena
legge elettorale, il sistema tedesco - facciata esterna del bundestag, il Parlamento federale di Germania

Legge elettorale: ecco come funziona il sistema tedesco

L’eterna discussione sulla riforma della legge elettorale italiana si arricchisce di ulteriori puntate. Ora tocca al sistema elettorale in vigore in Germania. Che sembra essere il modello di ispirazione in grado di raccogliere un ampio consenso nell’attuale parlamento italiano, dal PD a Forza Italia passando per il Movimento 5 Stelle.

Ma come funziona, in breve, il sistema adottato nel Bundestag, la Camera bassa tedesca?

Legge elettorale: primo e secondo voto nel sistema tedesco

La legge elettorale in vigore in Germania è (ma solo in linea teorica) un sistema misto, con elementi maggioritari e proporzionali. Un dato che si evince anche dalla stessa scheda elettorale utilizzata. Che presenta una doppia opzione di voto, nominata semplicemente “primo voto” (erststimme) e “secondo voto” (zweitstimme).

legge elettorale - un esempio di scheda elettorale nel sistema tedesco

Con il primo voto, i tedeschi scelgono uno dei 299 candidati eleggibili con il sistema uninominale. In questo caso, dunque, viene adottato un maggioritario secco (il cosiddetto “first-past-the-post”). Che prevede l’elezione del candidato che ottiene la maggioranza (anche solo relativa) delle preferenze. Questi seggi vengono definiti anche “mandati diretti” (Direktmandate), a conferma del rapporto diretto tra l’elettore e il candidato.

Con il secondo voto, invece, si esprime una preferenza per uno dei partiti in lizza. Ed è questo voto a rendere il sistema tedesco proporzionale a tutti gli effetti. La percentuale ottenuta dai partiti rappresenta infatti la base per la ripartizione dei seggi nel Bundestag. Una distribuzione che però deve tenere conto di due soglie di sbarramento.

Legge elettorale: come funzionano le soglie di sbarramento del sistema tedesco

Quella più nota è la soglia del 5%. Ovvero, il consenso minimo che i singoli partiti devono ottenere nello zweitstimme per poter accedere al Parlamento.

Tuttavia, esiste un’altra soglia meno conosciuta. La quale permette l’accesso alla ripartizione proporzionale dei seggi anche ai partiti che non raggiungono il 5%, a patto di riuscire ad eleggere almeno 3 deputati con il primo voto (cioè nella parte uninominale). Per capirci, questi sono i 3 possibili scenari:

– ipotesi 1: un partito ottiene <5% nel proporzionale ma almeno 3 deputati nell’uninominale: ottiene un numero di seggi proporzionale al proprio peso elettorale

– ipotesi 2: un partito ottiene <5% nel proporzionale ma solo 1-2 deputati nell’uninominale: elegge in parlamento solo 1-2 deputati vincenti nell’uninominale, senza però partecipare alla ripartizione di seggi prevista dal proporzionale

– ipotesi 3: un partito ottiene >=5% nel proporzionale (indipendentemente da quanti seggi conquista nel voto uninominale): ottiene un numero di seggi proporzionale al proprio peso elettorale

Le due soglie, quindi, non vanno centrate entrambe obbligatoriamente. Lo sa bene il defunto PDS, oggi confluito nella sinistra Die Linke. Che nel ’94, nonostante il 4.5% dei voti, riuscì ad ottenere ben 30 seggi, grazie ai 4 mandati diretti conquistati nell’uninominale. Meno fortunato fu lo stesso partito nel 2002. Quando non riuscì a raggiungere il 5%, eleggendo soltanto 2 deputati nell’uninominale. Che furono dunque gli unici 2 rappresentanti del partito nel Bundestag in quella Legislatura.

La ripartizione dei seggi avviene dando la precedenza all’uninominale. Ad ogni partito verranno assegnati prima i seggi conquistati con il primo voto. Dopodiché i restanti saranno “pescati” nella parte proporzionale, organizzata su liste circoscrizionali bloccate.

Legge elettorale: Bundestag, un parlamento “variabile”

Ma cosa succede se un partito conquista all’uninominale un numero di seggi superiore a quello che gli spetterebbe sul piano proporzionale? In questo caso – che rappresenta una sorta di deroga “maggioritaria” ad un impianto base sostanzialmente proporzionale – il partito in questione mantiene tutti i seggi conquistati nell’uninominale. Un caso esemplare è rappresentato sempre dalle elezioni del 1994, in cui la CDU ottenne 177 seggi con il primo voto, conquistando complessivamente ben 12 seggi in più (Überhangmandate) di quanto le sarebbe spettato proporzionalmente.

L’insieme delle clausole del sistema elettorale tedesco – definito più precisamente dagli esperti un sistema “proporzionale personalizzato”, cogliendo brillantemente il collegamento tra l’impianto proporzionale ed il rapporto diretto candidato-elettore previsto nell’uninominale – fa sì che il numero di seggi in palio nel Bundestag sia sostanzialmente variabile.

La necessità di coniugare i 299 seggi uninominali con il peso elettorale dei diversi partiti ha infatti fatto sì che spesso il Parlamento presentasse un numero di seggi superiore rispetto al livello teorico, una situazione derivante proprio dal meccanismo dei mandati in eccedenza. Uno scenario impossibile in Italia, in virtù degli articoli 56 e 57 della Costituzione, che fissano in maniera inderogabile il numero di deputati e senatori. Un tema che rappresenta uno dei tanti punti su cui i partiti italiani dovranno trovare obbligatoriamente un’intesa.

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L'autore: Emanuele Vena

Lucano, classe ’84, laureato in Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna e specializzato in Politica Internazionale e Diplomazia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Appassionato di storia, politica e giornalismo, trascorre il tempo libero percuotendo amabilmente la sua batteria. Collabora con il Termometro Politico dal 2013. Durante il 2015 è stato anche redattore di politica estera presso IBTimes Italia. Su Twitter è @EmanueleVena
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