La tortura tra diritto e prassi: le problematiche di sicurezza e relazioni internazionali

Pubblicato il 6 Settembre 2017 alle 12:52 Autore: Redazione
reato di tortura

La tortura, tra diritto e prassi

Se qualcuno chiedesse ad un gruppo nutrito di soggetti se sia giusto o meno torturare un individuo, la maggior parte di questi risponderebbe, con tutta probabilità, in maniera negativa. Norberto Bobbio, filosofo e giurista, parlava di Diritti Assoluti annoverandone in particolar modo due: il diritto a non essere torturato e quello a non essere schiavizzato.

Egli si concentrava sul concetto di assolutezza per evincere la non relatività di suddetti diritti. Se, infatti, può essere ritenuto relativo il diritto alla libertà di espressione (perché limitato dal diritto di un altro soggetto a non essere ingiuriato), il diritto a non essere schiavizzato o torturato deve necessariamente essere integro; assoluto; non gliene si potrà porre un altro quale contro limite.

Se si parla generalmente di diritti non è concepibile, anche solo su un piano logico, ammettere una menomazione fisica e/o psicologica di un individuo o un suo totale asservimento, in quanto lede l’impalcatura giuridica dell’ordinamento di riferimento. Secondo questo ragoinamento legato all’assolutezza, il diritto all’integrità fisica e psicologica precederebbero, quindi, gli altri.

Tortura, tra diritto e prassi: il punto d’inflessione dell’11 settembre

Non è anacronistico andare a sviluppare discorsi di questo tipo nel periodo storico in cui viviamo in quanto. In altri Paesi anche culturalmente non molto diversi dal nostro, questo è ancora ampiamente commesso. Anche se è raro che se ne parli, è all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle del 2001 che si sono andati alimentando un numero crescente di scandali riguardanti l’utilizzo di maniere poco ortodosse, da un punto di vista giuridico ed umano, nei confronti – soprattutto – di presunti terroristi.

Si può far riferimento, ad esempio, alla prigione di massima sicurezza di Guantanamo ed in particolare all’ X-Ray Camp. Nonostante le diverse violazioni della Convenzione sui Diritti Civili e Politici promossa dall’ONU (e, naturalmente, ratificata dagli Stati Uniti) non ha visto né una massiccia movimentazione dei Tribunali Internazionali; né fermenti politici statali volti alla chiusura della stessa struttura.

Tortura: la “extraordinary rendition”

È, inoltre, invalsa nella prassi internazionale la cosiddetta Extraordinary rendition;  questa consiste in una procedura, dalla dubbia conformità legale, perpetrata soprattutto dai Servizi Segreti americani. Presunti terroristi sono segretamente rapiti e deportati in campi di prigionia. Qui sono interrogati e, in alcuni casi, torturati.

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Il caso El-Masri contro la Macedonia

Non sono rare, in materia, pronunce di Corti Internazionali. Tra le più note, il Leading Case di El-Masri contro la Nazione macedone per aver in un primo momento arrestato e maltrattato il sospettato, di cui sopra si faceva cenno, e per averlo, successivamente, consegnato ad un gruppo di agenti della CIA. Tasferito in Afghanistan e torturato in vista di una presunta confessione, essendosi accorti successivamente dello sbaglio, lo rilasciarono.

La Corte Europea dei Diritti dellUomo si pronunciò duramente su quanto accaduto condannando la Macedonia per la violazione di diversi articoli della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed in particolare dell’art. 3 riguardante la proibizione della tortura. Sarebbe dovuto essere compito dello Stato, infatti, indagare sulla effettiva possibilità che il soggetto consegnato nelle mani di quegli uomini sarebbe potuto essere suppliziato.

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Tortura, sicurezza e relazioni internazionali

In vista di un risvolto positivo quale la salvaguardia di una larga fetta di popolazione, sarebbe giusto torturare anche un singolo uomo, ad esempio, un presunto terrorista? È moralmente giusto violare un diritto fondamentale della persona in determinate situazioni? Vi è da considerare che la pratica della tortura non riguarda solo casi limite – di sicurezza nazionale – come questi. Alcuni Paesi, in effetti, perpetrano atteggiamenti criminosi di questo genere come misure di carattere repressivo.

I Trattati in materia, come la Convenzione Contro la Tortura e la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo muovono dalla convinzione di essere vincolanti in partenza. Tuttavia, finiscono per essere ineffettivi al traguardo. Sarebbe uno Stato interessato a far rispettare una norma a tal punto da andare a destabilizzare gli equilibri politici internazionali? Si è portati a voler mantenere un rapporto amichevole con un altro Paese o a proteggerne i cittadini da trattamenti disumani?

Emanuele Cornetta

 

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