Il crollo dei contratti a tempo indeterminato

Pubblicato il 4 Agosto 2014 alle 12:19 Autore: Emanuele Vena
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Meno del 20 per cento. E’ questa, secondo uno studio della UIL, la percentuale delle assunzioni a tempo indeterminato registrata nel 2013. Che registra un trend al ribasso sempre più preoccupante.

PROGRESSIVO SPOSTAMENTO – Alle cifre sull’alto numero di posti di lavoro persi – oltre un milione dal 2008 al 2013 – si aggiunge la tendenza inarrestabile ad un passaggio dai contratti a tempo indeterminato a quelli a tempo determinato. Se nel quinquennio in esame la riduzione dei contratti indeterminati è del 46.4%, quelli a termine sono aumentati del 19.7%. L’incidenza delle nuove assunzioni con forme contrattuali “instabili” sale dal 72.7% del 2008 all’80.9% del 2013. A ciò si aggiungono i licenziamenti: nel solo 2013 ne sono stati registrati oltre 900 mila, il 15.6% in più rispetto al 2009. Non va meglio per quanto riguarda l’avviamento al lavoro: se nel 2008 le aziende lo hanno operato per 11 milioni di volte, nel 2013 la cifra si riduce di 2 milioni. In calo vertiginoso le dimissioni che – anche grazie al blocco dei pensionamenti disposto dalla Legge Fornero e una stretta normativa sulle dimissioni in bianco – sono calate di oltre 400 mila unità.

NEL 2014 NON VA MEGLIO – La fragilità del mercato del lavoro resta evidente anche nel primo trimestre 2014, con 4 nuovi contratti su 5 firmati con modalità temporanee, con un’altissima quota (67%) di contratti a termine. Appena il 17.6% è invece la quota dei nuovi contratti a tempo indeterminato, pari a poco più di 400 mila nuove assunzioni. Bassi i numeri dell’apprendistato, che incide per appena il 2.4% del totale.

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DL POLETTI – La Uil non mostra particolare ottimismo, in particolar modo con il Dl Poletti, che secondo la sigla sindacale rischierà di espandere ulteriormente una temporaneità del lavoro già in progressivo aumento. Basti pensare che nel 2013 si è registrata un’attivazione di 1.78 contratti per lavoratore, rispetto agli 1.64 del 2009. Una situazione che il segretario confederale Uil, Guglielmo Loy, spiega così: “In sostanza aumentano gli avviamenti a termine ma calano le persone interessate”.

QUANTITA’ E FLESSIBILITA’ – Il maggior numero di attivazioni del 2013 si è registrato nel Lazio, davanti a Lombardia e Puglia. Ma Lazio e Puglia sono anche le regioni in cui c’è la flessibilità maggiore – con una media di 2 attivazioni per lavoratore – nonché, insieme alla stessa Lombardia, le regioni con il più alto tasso di “fine lavoro”. L’ennesima conferma di come la quantità – delle attivazioni – non si coniughi con la stabilità del posto di lavoro. Basti pensare alle cessazioni dei contratti, che hanno riguardato principalmente gli under 44 con motivazioni di “cessazione del termine del contratto” per il 65% dei casi, con contratti che per un terzo dei casi prevedevano durate non superiori ad 1 mese.

L'autore: Emanuele Vena

Lucano, classe ’84, laureato in Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna e specializzato in Politica Internazionale e Diplomazia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Appassionato di storia, politica e giornalismo, trascorre il tempo libero percuotendo amabilmente la sua batteria. Collabora con il Termometro Politico dal 2013. Durante il 2015 è stato anche redattore di politica estera presso IBTimes Italia. Su Twitter è @EmanueleVena
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