Gli aspetti negativi dell’eccesso di popolarità

Pubblicato il 17 Dicembre 2009 alle 06:00 Autore: Livio Ricciardelli
Gli aspetti negativi dell’eccesso di popolarità

Come ha ben sottolineato in una recente “Amaca” Michele Serra, spesso si rimane colpiti dai viaggi all’estero del nostro Presidente del Consiglio. Sappiamo bene che il premier, e con lui tutto il governo, ha una visione alquanto particolare delle relazioni internazionali: i criteri d’opportunismo, anche quelli più isolati, dominano su criteri di visione geopolitica generale.

 

Foto: Berlusconi insieme a Lukashenko

Un esempio su tutti: se Romano Prodi si dichiarava favorevole all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea in quanto convinto europeista, Berlusconi si dichiarava anch’egli favorevole solo per tentare di sfruttare la contrarietà franco-tedesca e avviare un canale “amichevole” e preferenziale nei confronti di un paese del quale a stento conosce i confini e l’ubicazione. Questo porta dunque Berlusconi non solo ad essere grande amico dei vari Putin e Gheddafi (e su quest’ultimo punto, e su come questo governo malgestisce il canale libico tenuto aperto dall’ex colonialismo italiano, occorrerebbe una riflessione a parte). In particolar modo, notava Serra, Berlusconi sembra prediligere paesi dell’est ex-comunisti. Paesi che, dopo il dominio sovietico, sono riusciti a mantenere, dopo l’indipendenza, una forma di governo assolutista basato sulle rivendicazioni nazionaliste e sul potere dinastico di pochi clan (Berlusconi ha un vero e proprio debole nei confronti del “sultano kazako” Nazarbaëv).
Ultima tappa dei viaggi berlusconiani è stata la Bielorussia. Ex repubblica sovietica, definita “l’ultima dittatura d’Europa” dall’amministrazione Bush (tanto cara a Berlusconi), è in mano al dittatore Lukashenko che rende la vita difficile agli oppositori e si pone come l’unico vero leader capace di guidare il paese, nonostante le ultime elezioni abbiano mostrato un’esigua percentuale di correttezza in più, secondo l’Osce.
Qualcuno potrebbe pensare che le ultime “aperture” democratiche da Minsk possono aver indotto l’Unione Europea a tentare di aprire un dialogo con Lukasenko mandando in avanscoperta il leader italiano. Ed effettivamente si tratta del capo di governo europeo più “affine” a quello bielorusso. Ma questo appare poco giustificabile se si ascolta con attenzione ciò che è stato detto nella conferenza stampa dal nostro premier: dopo aver lodato le possibili opzioni economiche presenti in Bielorussia (non risulta abbia citato le donne bielorusse questa volta), Berlusconi ha dichiarato che stima Lukashenko in quanto “leader molto amato come dimostrano i dati di tutte le elezioni che lo hanno eletto”.
Ora, che il premier non sia molto esperto di storia e politica estera è possibile. Ma perché nessuno del suo staff non ha frenato un’affermazione del genere che è facilmente strumentalizzabile dall’opposizione italiana? La realtà è che, leggendo i dati del consenso bulgaro nei confronti di Lukashenko, Berlusconi non ha percepito e non ha capito che si trattano di dati non da democrazia e, se non truccati, da plebiscito. Una persona che sventola ogni giorno “l’alto consenso popolare” nei suoi confronti, dovrebbe sapere bene che un consenso troppo alto non è da democrazia, e quindi da merito diviene marchio d’infamia. Berlusconi si vanta di essere più popolare di Obama, della Merkel e di Sarkozy. Non si pone il problema che l’essere troppo popolari, a scapito delle istituzioni, è l’anticamera del bonapartismo? L’unico leader all’interno dell’Unione Europea che sbandiera una percentuale di popolarità più elevata di quella di Berlusconi è il primo ministro bulgaro Borisov: ex guardia del corpo del leader comunista Zhivkov, ora primo ministro per un partito della destra populista. Classico cursus honorum per un leader di una democrazia ancora abbastanza debole e con molte contraddizioni interne.
Le vere democrazie non sono solo quelle che dimostrano di possedere istituzioni efficienti che assicurano un corretto equilibrio tra pesi e contrappesi. Ma anche quelle dove si consente lo sviluppo e l’esercizio dell’azione politica di una vera opposizione. Nel nuovo mondo globalizzato la democrazia rischia di svuotarsi non dal punto di vista formale, bensì da quello sostanziale, ed elevati gradi di popolarità (in certi casi raggiunti anche grazie ad una onnipresenza mediatica) sono cose più da Russia di Putin, classico esempio di democrazia formale ma non sostanziale, che da Stati Uniti d’America. Sarebbe bello avere un paese definibile, da parte di tutti gli osservatori stranieri, come una “grande democrazia”. E sarebbe avere un Presidente del Consiglio un po’ meno popolare ma più rispettabile. E soprattutto un Presidente del Consiglio che sa quello che dice. A Bonn come a Minsk.
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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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