Cosa ci insegna il voto di Parma

Pubblicato il 22 Maggio 2012 alle 14:21 Autore: Livio Ricciardelli
bernazzoli pizzarotti parma

Cosa ci insegna il voto di Parma

 

Nel secondo turno non ci sono i partiti. O meglio: ci sono. Ma sono collocati sotto il nome del sindaco. E la competizione elettorale in una tornata amministrativa come questa tende alla personalizzazione. Conta ovviamente il sostegno che talune forze politiche danno ai loro candidati e conta senz’altro anche il divario elettorale tra i due più votati al primo turno. Tanto che l’attenzione dei media in queste due settimane alle due città più popolose (Palermo e Genova) è stata limitata. Proprio perché l’oltre 48% dei voti presi da parte di Orlando e Doria, soprattutto alla luce dei dati di Ferrandelli e Musso entrambi nettamente sotto il 20%, non dava spazio a dubbi.

Invece a Parma la storia era diversa. C’era un divario netto tra Bernazzoli e Pizzarotti. Ma non così netto come quello registrato a Palermo e Genova. E dunque la partita si è potuta giocare. Assumendo i contorni e le caratteristiche di una vera e propria battaglia campale in cui la personalizzazione e il simbolismo hanno superato qualsiasi alchimia partitica e progetto amministrativo.

In una città simbolo del malgoverno amministrativo ha vinto quella forza politica e quel candidato che rappresentava più nettamente la discontinuità rispetto ad una giunta, quella di Vignali, nota per il clientelismo e per il dissesto di bilancio. Ha vinto il messaggio più “indignato” a questa situazione, pur essendo Parma e Bernazzoli rappresentanti di quella sinistra che negli ultimi 14 anni, praticamente nel corso di tutta la Seconda Repubblica, aveva subito il dominio in città del civismo di centrodestra. Un ballottaggio quello parmense che a mio parere ha molte assonanze col secondo turno napoletano dell’anno scorso. Anche in quel caso Napoli era una città simbolo e l’emergenza rifiuti rappresentava a suo modo una grave emergenza politica ed amministrativa. Anche in quel caso vi era un candidato, Gianni Lettieri, che nettamente aveva vinto al primo turno. Ma con un divario non eclatante rispetto a Luigi De Magistris che, come Pizzarotti, non era il rappresentante di uno dei due schieramenti maggioritari a livello nazionale. E dunque tra primo e secondo turno si è personalizzata la campagna elettorale. E come a Napoli vinse nettamente, nonostante i dati di due settimane prima, De Magistris, a Parma ha vinto Pizzarotti. Tanto che secondo molti queste elezioni testimoniano ulteriormente come il meccanismo dell’apparentamento tenda ad essere una pratica desueta: i cittadini al secondo turno scelgono quello che considerano il più adatto, e poco importa se il partito x lo sostiene o meno.

bernazzoli pizzarotti parma

Con la differenza che, mentre a Napoli si rifletteva su come una città fosse stata sottratta in maniera così lesta e barocca alla destra, oggi come oggi Parma è il primo capoluogo di provincia ad essere governata da un esponente del movimento di Grillo. Per certi versi una continuità del civismo parmense che mai ha visto, in piena zona a “subcultura rossa”, il consolidarsi di un forte centrosinistra o di un centrodestra “classico” realmente alternativo (la candidatura di Elvio Ubaldi anche a queste elezioni è quanto mai sintomatica).

Ha ragione Bersani quando parla di “non-vittoria” a Parma in quanto la giunta uscente era di centrodestra. Ma resta il fatto che, nonostante un clima di cosiddetta “antipolitica” strisciante e nonostante l’eccezionalità del caso Parma rappresentata plasticamente dalle dimissioni anticipate della giunta uscente, il Pd dovrebbe porsi anche un problema legato alla sua classe dirigente nelle amministrazioni locali.

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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