Le potenzialità economiche dei Balcani

Pubblicato il 31 Maggio 2012 alle 13:42 Autore: EaST Journal
balcani

Partiamo da una domanda semplice ma complessa: quale futuro aspetta i Balcani dal punto di vista economico? Consideriamo i quattro paesi di lingua serbocroata, ossia Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia e Montenegro. Sono tutti paesi colpiti duramente dalla crisi, in quanto non possiedono centri produttivi competitivi e quindi sono estremamente ancorati all’economia europea; dalla fine della guerra al 2007 c’è stato un crescente ottimismo grazie allo sviluppo economico, ma la crisi arrivata con il 2008 ha spazzato via tutte le certezze. E per uscire dalla crisi servono manovre decise.

Guardiamo per prima la Croazia, il paese su cui sono puntati maggiormente gli occhi in quanto prossima all’ingresso nell’Unione Europea. Fino al 2007 ha avuto una crescita notevole, il PIL è cresciuto di circa il 5% all’anno per quasi 15 anni; ma l’anima della crescita è stato il turismo, un settore notevolmente redditizio ma anche notevolmente sensibile all’andamento dei mercati: se la situazione lavorativa è incerta, è più difficile che le famiglie optino per vacanze all’estero, anche se la Croazia può beneficiare di un cambio favorevole con l’euro che la pone in un’ottica di meta “low cost”: 1 € equivale a 7.5 Kune, e questo è un vantaggio per le aziende croate in quanto potrebbero esportare nell’area euro a prezzi competitivi. Con l’arrivo della crisi il PIL è calato per più di 2 anni, e solo nel 2011 è cresciuto di un debole 0.7%. La crisi ha generato anche indebitamento per lo Stato, ma sempre nel 2011 la situazione è migliorata: la Croazia nel 2011 ha avuto un surplus nel budget del 2.8% del PIL e il debito pubblico è sceso dal 58.2% al 43.9% del PIL, un dato che dovrebbe essere incoraggiante visto che, per fare un confronto, la Germania ha un debito pubblico poco superiore all’80% del PIL.

balcani

Questo calo del debito pubblico croato è stato aiutato principalmente dalla privatizzazione di alcune aziende statali, come la INA, quindi non andrebbe considerato propriamente un dato positivo, poiché il Governo avrebbe indubbiamente fatto meglio a ristrutturare internamente l’azienda per portarla nuovamente in attivo piuttosto che venderla.

Discorso un po’ diverso per la Bosnia: qui il problema è la mancanza di un forte governo centrale. La mancanza di coesione e le divisioni interne bloccano molte riforme, eppure nonostante il paese sia stato letteralmente devastato dalla guerra e nonostante nel 1995 la produzione industriale fosse appena il 20% di quella che era nel 1990, il Paese ha una situazione economica non così negativa. Il dato della disoccupazione è altissimo, si parla del 43%, ma è certamente gonfiato dato che moltissime persone lavorano in nero. In seguito alla crisi, i dati di crescita della Bosnia sono stati forse migliori della Croazia: dopo la contrazione del 2.9% nel 2009, nel 2010 il PIL è cresciuto dello 0.7% e nel 2011 di nuovo del 2.2%. Il Marco bosniaco (KM) ha un regime di cambio fisso con l’euro (1 € = 1.98 KM), ma le esportazioni sono facilitate dai costi bassi (principalmente dalla manodopera a basso prezzo). Comunque nel 2011 il deficit del budget statale è stato del 3.1% (estremamente alto) e il debito pubblico è salito dal 39.1% al 44%. Eppure anche la Bosnia ha buone possibilità. Il territorio bosniaco è ricco di risorse forestali ma anche di minerali, è di buona qualità e quindi adatto a coltivazioni e il paesaggio montuoso e la presenza di corsi d’acqua permetterebbero la costruzione di centrali idroelettriche; la Bosnia ha un ottimo sistema energetico. Il problema principale è che l’elevato numero di mine inesplose nel Paese impedisce e blocca lo sviluppo di gran parte del settore primario.

(per continuare la lettura cliccare su “2”)

L'autore: EaST Journal

East Journal è un progetto di giornalismo partecipativo che nasce dal basso, fatto da giovani e senza fini di lucro. East Journal è una testata registrata presso il Tribunale di Torino, n° 4351/11, del 27 giugno 2011. I contenuti sono condivisi con Termometro Politico grazie alla partnership nata da marzo 2012 tra le due testate giornalistiche. Il nostro obiettivo è quello di raccontare la “nuova” Europa, quella dell’est, che rappresenta il cuore antico del vecchio continente. La cultura e la storia ci insegnano la comune appartenenza. L’europeismo critico è dunque una nostra vocazione. Tra i nostri temi più cari figurano poi la tutela delle minoranze, l’analisi dell’estremismo di destra, la geopolitica energetica, il monitoraggio del crimine organizzato transnazionale.
Tutti gli articoli di EaST Journal →