Amazzoni o rusalke? Le donne slave, tra libertà sessuale e mitologia

Pubblicato il 16 Settembre 2012 alle 19:12 Autore: EaST Journal
ammazzoni o rusalke

Le genti slave che arrivarono in Europa nel VII° secolo dopo Cristo non avevano una rigida divisione tra i sessi, e non esisteva una subalternità socialmente codificata della donna nei confronti del’uomo. Anche il pantheon paleoslavo annoverava molte divinità femminili legate al culto della terra e della fecondità. Divinità non secondarie per genti dedite all’agricoltura più che alla guerra. Secondo alcuni storici la “libertà” sociale della donna nei popoli slavi dell’alto Medioevo si deve alla profonda influenza esercitata dalle genti scizie e sarmate. Addirittura per questi popoli si ipotizza la presenza di donne guerriere da cui discenderebbe il mito delle Amazzoni. Erodoto, nel suo celebre Storie, già nel V° secolo avanti Cristo, evocava con dovizia di particolari quelle donne guerriere che, collocate sulla piana del Don, si univano ai giovani sciti prendendoli come amanti giusto il tempo della fecondazione.

Il mito delle Amazzoni
Il mito delle Amazzoni sarà un grande topos letterario dell’alto medioevo. Con ogni probabilità è giunto in Europa insieme ai sarmati, popolazione seminomade di cavalieri che, spinti in Pannonia dalle migrazioni dei goti, si fusero con le popolazioni slave presenti nella bassa Moravia, ove poi si sviluppò il primo grande regno slavo della storia. Per inciso: una certa mitografia fa risalire ai sarmati l’origine dei polacchi, e certo influenze ve ne furono, ma storicamente ha la stessa validità dei galli progenitori dei francesi. Il mito delle amazzoni lo ritroveremo nel VIII secolo dopo Cristo nell’Historia Longobardorum di Paolo Diacono e ancora nel X secolo il viaggiatore arabo tortosano Ibn Ya’qub parla di donne guerriere nelle sterminate pianure della Rus’.
La libertà sessuale delle donne slave
L’elemento mitologico trova riscontri nelle cronache dell’alto Medioevo: Cosma di Praga, padre della storiografia boema, nel XII secolo narra di donne ceche che “desideravano ardentemente possedere armi ed eleggevano capitani all’interno del gruppo. Stavano in guerra né più né meno dei maschi e come questi cacciavano nelle foreste. Né facevano differenze tra abiti maschili e femminili”. In tempi successivi riscontriamo come le donne fossero ammesse nella successione nobiliare in Polonia. La libertà sessuale era assai ampia. Sempre Ibn Ya’kub racconta del privilegio delle donne serbe nello scegliersi lo sposo e, più spesso ancora, di disporre di sé prima del matrimonio: “Quando una giovane si innamora di un uomo va alla casa di lui per soddisfare il proprio desiderio. E se un ragazzo trova una fanciulla vergine la abbandona poiché se di buono vi fosse stato in lei qualcun’altro prima l’avrebbe voluta”.
ammazzoni o rusalke
Il cavaliere francese de Beauplan, ingegnere al servizio del re di Polonia per ben diciassette anni, scrive che in Ucraina “si vedono ragazze andar a far l’amore ai ragazzi che piaccion loro, e mai che falliscano un colpo”. Sempre in Serbia la donna poteva, con il consenso maritale, uscire temporaneamente dal vincolo matrimoniale per farsi fecondare da un estraneo, qualora il marito non avesse potuto farlo.
Si tratta di pochi esempi che testimoniano di come la condizione femminile presso gli slavi fosse assai diversa da quella che ci costumava nel resto d’Europa. Una “libertà” della donna che la lenta ma progressiva cristianizzazione ha fortemente ridimensionato ma di cui sopravvive tutt’oggi qualcosa. Basti pensare alle donne ucraine, che emigrano per lavoro lasciando a casa il marito e i figli. Una scelta che testimonia la profonda potestà femminile sulla famiglia.
La donna disprezzata e vendicativa. Il mito delle rusalki
Naturalmente, non erano tutte rose e fiori nemmeno nell’alto Medioevo. Un mito più di tutti restituisce la volubilità della condizione femminile: quelle delle rusalki.
Le giovani che, disperate, si sono gettate nell’onda rapida dei fiumi, si mutano in rusalki, piccole onde che un giorno potranno vendicarsi dell’amante infedele attirandolo nei gorghi. E’ il tema di un celebre scena drammatica di Puskin: “Da quel momento in cui, fuori di me, ragazza disperata e disprezzata, mi gettai nelle acque del profondo Dniper mi trovai rusalka fredda e possente, ogni giorno penso alle vendetta, ed ora, a quanto pare, è giunta la mia ora”.
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