Termometro Finanziario: dagli USA segnali di miglioramento, ma le elezioni sono vicine

Pubblicato il 8 Ottobre 2012 alle 11:20 Autore: Giovanni De Mizio

Settimana di recupero per le principali piazze azionarie: gli investitori, dopo aver preso beneficio nella settimana passata, sono ritornati a comprare nel tentativo di strappare nuovi guadagni al rialzo. Il carburante per l’accelerazione, specie in chiusura d’ottava, sono state le buone notizie dal mercato del lavoro USA, che ha visto il tasso di disoccupazione crollare ai minimi dal gennaio 2009 al 7,8%.

La speranza, per gli operatori, è che i dati macroeconomici abbiano toccato il fondo e si apprestino a migliorare. Più che il tasso di disoccupazione USA, resta da osservare quello di occupazione che, per quanto ancora schiacciato sui minimi, è sembrato dare qualche segnale di vita nell’ultima rilevazione, quella di venerdì, appunto.

La strada perché il mercato del lavoro USA si riprenda è però ancora lunga, e vi passa un’elezione presidenziale ormai alle porte. Ottobre è l’ultimo mese di campagna elettorale, e nonostante Obama sembri avere decisamente più probabilità di vittoria del proprio sfidante Romney (grazie a diversi inciampi di quest’ultimo), i giochi non sono ancora chiusi, come si è visto nel primo dibattito fra i candidati, in cui Obama è apparso decisamente sotto tono.

La consultazione elettorale richiederà agli statunitensi di decidere se dare una nuova opportunità ad Obama, che è riuscito, almeno, a reggere il timone di una barca che ancora raccoglie acqua dai buchi creati nell’era Bush, pur tra indecisioni e forti contrapposizioni con l’agguerrita maggioranza repubblicana alla Camera bassa del Congresso che ne hanno annacquato le ambizioni di cambiamento; oppure i votanti potrebbero richiedere un cambiamento di tipo diverso, e mandare alla Casa Bianca un nuovo inquilino, Mitt Romney, le cui politiche economiche, tuttavia, restano decisamente disegnate in aria, a cominciare dalla questione delle tasse di cui beneficeranno, ancora una volta, i più ricchi del Paese (che hanno goduto di una crescita patrimoniale sotto la precedente presidenza Dubya come raramente nella storia recente), oppure il sistema di voucher che rischia di rendere la sanità americana ancora più costosa per chi meno se la può permettere.

Resta infine aperta la questione del fiscal cliff, da risolversi entro fine anno. Si tratta di un problema che vale ben 600 miliardi di dollari (il 4% del PIL USA) sia dal lato delle entrate (400 miliardi) che delle uscite (200 miliardi): in altre parole, a fine anno verranno meno agevolazioni fiscali perlopiù relative all’era Bush (oltre 200 miliardi) e verranno introdotti tagli al welfare. In altre parole, sarà l’austerity a stelle e strisce. Il governo e il Parlamento statunitense dovranno perciò trovare un accordo che permetta di evitare che questo scoglio riporti l’economia USA in recessione almeno nel primo semestre del 2013, come è ovvio aspettarsi nei casi di stretta fiscale.

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