L’impronta ecologica per uscire dalla crisi

Pubblicato il 11 Ottobre 2012 alle 14:17 Autore: Matteo Patané

I primi due giorni del mese di ottobre hanno visto svolgersi a Venezia una conferenza del Global Footprint Network, un think tank no-profit fondato nel 2003 focalizzato nello studio e nella realizzazione di strumenti di analisi per la sostenibilità ambientale, tra cui spiccano la biocapacità – ovvero quanto il territorio è in grado di fornire in termini di risorse – e l’impronta ecologica – ovvero quanto un Paese consuma.
La conferenza, intitolata Mediterranean Initiative, era interamente dedicata allo studio dei Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo, e si poneva l’ambizioso obiettivo di valutare non solo l’impronta ecologica di questi Paesi, ma anche i possibili legami tra la crisi economica ed il deficit ecologico, cercando di dimostrare come politiche ecologiste possano avere ricadute positive anche dal punto di vista prettamente economico.

Il paper prodotto come risultato dell’evento mette in evidenza la situazione critica in cui versa il bacino del Mediterraneo.

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Biocapacità ed impronta ecologica
dell’area mediterranea (1961 – 2008)

Come ben evidenzia infatti il grafico dell’impronta ecologica dei Paesi del Mediterraneo nel suo complesso, si colgono due aspetti allarmanti.
In primo luogo emerge un progressivo aumento del consumo pro capite di risorse, legato in massima parte all’avvento della filosofia dell’usa e getta e concentrato principalmente nella prima metà degli anni ’80.
L’aspetto tuttavia maggiormente inquietante è costituito dalla diminuzione delle risorse disponibili per persona: in parte è un aspetto spiegabile con l’incremento della popolazione, ma in parte il fenomeno si esplica in una distruzione tale dell’ambiente naturale da non permettere più la rigenerazione delle risorse.
Nel 1981 l’area mediterranea poteva sostenere una volta e mezza la popolazione dell’epoca ed ogni persona consumava per due. Nel 2008 lo stesso territorio può sostenere poco più di 1,25 volte la popolazione presente in quell’anno, ma ogni persona è arrivata a consumare per tre.
Non occorrono calcoli e proiezioni per constatare l’insostenibilità di un simile andamento.

Il problema, tuttavia, non è solo ecologico, ma economico.
Nel 2008, per citare il dato relativo al periodo di termine della ricerca, appena il 40% delle risorse consumate nell’area del Mediterraneo era stato generato in loco.
Questo rende la zona estremamente fragile, in quanto instaura una dipendenza dalla presenza di risorse provenienti dall’esterno, dalla volontà politica di trasferire queste risorse nel Mediterraneo e dalla solvibilità dei Paesi mediterranei di pagare per l’accesso alle risorse desiderate.

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Biocapacità ed impronta ecologica
dei Paesi dell’area mediterranea (A-L)

 

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Biocapacità ed impronta ecologica
dei Paesi dell’area mediterranea (L-Z)

Spostando lo sguardo al dettaglio dei singoli Paesi, il quadro non cambia, e anzi evidenzia come il maggior grado di benessere generalmente attribuito alla sponda europea del Mediterraneo sia stato conquistato sovrasfruttando il territorio oltre il limite delle proprie capacità e in generale adottando uno stile di vita che rende necessario un acquisto dall’estero delle risorse.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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