GOP: le ragioni della sconfitta, la chiave per il futuro

Pubblicato il 7 Novembre 2012 alle 20:09 Autore: Daniele Curcio

That’s it. Barack Obama ha vinto le elezioni presidenziali e governerà l’America per altri quattro anni.

Non è un mistero come le mie speranze fossero differenti. Credevo, e tuttora penso, che Mitt Romney rappresentasse una scelta migliore per gli Stati Uniti, che potesse portare una ventata di novità sul panorama politico Americano.

Ma questo non è, e non può essere, il tempo delle recriminazioni. Il Presidente in carica ha giocato, ha rispettato le regole ed è uscito vincitore da questa lunga (ma leale) battaglia, e a lui vanno i complimenti e gli auguri di buon lavoro da parte di tutti, democratici o repubblicani che siano.

Quattro anni fa il senatore John McCain, in un’altra triste notte per il partito Repubblicano, affermava: “Barack Obama è ora il Presidente degli Stati Uniti d’America, ed è anche il mio Presidente”. Quelle parole non potrebbero essere più attuali.

Questo è invece il tempo in cui il partito repubblicano dovrebbe fermarsi a riflettere. Non bisogna limitarsi nell’analizzare una sconfitta (la seconda consecutiva in una elezione presidenziale), per quella che è. Bisogna andare a fondo e capire il perché questo sia avvenuto.

gop

Mitt Romney ha sicuramente fatto alcuni errori; la scelta di Paul Ryan come candidato vicepresidente non si è rivelata ottimale (basti guardare al margine in Wisconsin, o alla sconfitta sul filo in Florida) e alcune “gaffe”, in particolare quelle su Detroit o il 47%, gli sono costate care; ma la colpa non è unicamente sua. Molti commentatori di destra, da Rush Limbaugh a Sean Hannity, si stanno affrettando a dire come l’unico motivo per cui il GOP non ha vinto questa elezione è il non aver nominato un vero conservatore.  E lo stesso delirante commento è arrivato da Sarah Palin, forse non ancora soddisfatta per i guai causati al partito nel 2008.

Mai cosa potrebbe essere più falsa.

Il partito repubblicano ha perso perché è lentamente scivolato fuori dal “mainstream” popolare, così impegnato nella corsa a chi era più conservatore che si è dimenticato che le elezioni si vincono fra i moderati. La smania del tea party di sconfiggere i falsi conservatori ha effetto non solo sul Congresso, ma anche sulle elezioni presidenziali.

Basterebbe vedere i risultati di ieri sera in alcune delle sfide più sentite per Camera e Senato. Richard Mourdock, che aveva sconfitto il senatore moderato Richard Lugar nelle primarie di partito, ha consegnato al partito democratico il seggio senatoriale dell’Indiana, un tempo considerato sicuro. Todd Akin, l’estremista evangelico che sfidava l’impopolare senatrice Claire McCaskill, è stato sconfitto con un margine di ben 13 punti percentuali. E che dire invece di Allen West, eroe dei tea party, a cui è stato negato un secondo mandato alla Camera dai cittadini della Florida o della risicatissima vittoria di Michele Bachmann, ex candidata alle presidenziali, che ha sconfitto l’avversario democratico di soli 4.000 voti su 350.000?

Credono davvero Limbaugh, Hannity e la Palin che questi siano tutti segnali di come l’America voglia dei veri conservatori? O sono invece una sonora lezione al tea party che, così stando le cose, farebbe meglio a sparire dalle scene politiche consentendo una volta per tutte al GOP di avviare quel processo di rinnovamento così disperatamente necessario?

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L'autore: Daniele Curcio

Studente in Economia e Business Internazionale alla Università Bocconi di Milano, è appassionato di politica Americana sin da giovane. Durante i suoi numerosi viaggi negli Stati Uniti ha avuto modo di approfondire i suoi studi nel settore. Consigliere di Municipio nel Comune di Brescia dal 2008. Caporedattore della sezione Esteri di Termometro Politico, sezione americhe e english version
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