Fenomenologia del voto utile

Pubblicato il 31 Gennaio 2013 alle 18:30 Autore: Matteo Patané

Una delle tematiche più sentite in questo scorcio di campagna elettorale è senza alcun dubbio quella del voto utile.

Berlusconi chiede voto utile verso i grandi partiti. Bersani chiede voto utile agli elettori di Ingroia che d’altra parte ritiene vero voto utile quello necessario a portare RC in Parlamento. Un atteggiamento simile a quello dell’ex-PM è tenuto anche da Grillo, anche se ormai il M5S ha di gran lunga raggiunto e superato quella massa critica necessaria ad avere la credibilità come possibile forza di governo.

In realtà, come spesso accade, in una campagna elettorale sempre più concitata e in cui i distacchi della vigilia – come era naturale attendersi – si stanno riducendo in maniera anche sensibile, i leader politici ritengono indubbiamente più facile e proficuo tentare di sottrarre voti agli avversari piuttosto che attaccare il monte degli indecisi: da un punto di vista puramente algebrico, infatti, molto meglio conquistare un voto sottraendolo ad un avversario piuttosto che conquistare un voto e basta.

Il fenomeno del voto utile, o per meglio dire l’intensità con cui è vissuto nelle elezioni politiche italiane, è un figlio diretto della legge elettorale: attraverso il doppio effetto del premio di maggioranza e della soglia di sbarramento, infatti, la legge elettorale tende a punire in maniera decisa i partiti più piccoli, e a premiare oltremisura quelli grandi. Si tratta di una legge dalle forte connotazioni bipolaristiche (che hanno caratterizzato le competizioni elettorali del 2006 e parzialmente del 2008), che oggi si ritrova inserita in un contesto completamente differente, mostrando effetti distorsivi di primaria importanza.

Nel 2006 pressoché tutte le forze politiche erano raccolte nelle coalizioni dell’Unione e della Casa delle Libertà.

Nel 2008, malgrado UdC e SA, era innegabile che lo scontro politico si sarebbe consumato tra il centrosinistra di Veltroni ed il centrodestra di Berlusconi: questo era vero soprattutto al Senato, dove le regioni in cui le terze forze potevano ambire a spartirsi i seggi erano molto poche, lasciando alle due coalizioni principali l’onore di dividersi quasi interamente le quote spettanti alla coalizione vincente e a quella sconfitta.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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