Re per una notte. Da Berlusconi a Ferrando.

Pubblicato il 18 Febbraio 2013 alle 10:53 Autore: Livio Ricciardelli

Berlusconi temeva la cappa mediatica generata dal 63° Festival della Canzone Italiana sulle ultime due settimane di campagna elettorale per le elezioni politiche. “Gli italiani possono pur sempre cambiare canale, ma l’attenzione nei confronti della politica diminuisce durante la kermesse sanremese”. Questa nella sostanza l’opinione berlusconiana.

Una tesi rafforzata dall’immensa notizia dell’abdicazione del Papa e dal fatto che il Festival, a sorpresa di molti e senza cadere in provocazioni, è stato abbastanza “impolitico” se si esclude la performance di Maurizio Crozza nella prima puntata di martedì sera (dove tra l’altro il comico genovese ha passato in rassegna quasi tutte le sue imitazioni politiche, sulla falsariga dei suoi consueti show settimanali su RaiTre e La7). Una mancanza di politica all’Ariston che ha portato ad un conseguente successo del Festival dovuto al fatto che questa volta c’era un’alternativa televisiva all’overdose politica quanto mai poco edificante di questa tornata elettorale.

Ma nella pratica a cosa si riferiva Berlusconi?

Durante il Festival di Sanremo la gente non guarda i telegiornali nazionali? Assolutamente no. Si tratta di una fascia oraria ben diversa da quella di Sanremo e i telegiornali nazionali delle 20.00 sono di gran lunga i programmi più visti in televisione.

Si riferiva forse ai talk show della sera? Forse, ma solo parzialmente. Ballarò infatti non è proprio andato in onda (c’è forte comunanza di vedute tra il Sanremo di Fazio e la terza rete di Viale Mazzini…) e da questo punto di vista Berlusconi avrà perso al massimo un paio di possibilità di apparire in tv destando il reale interesse dei telespettatori.

La realtà è che presumibilmente Berlusconi si riferiva ad uno specifico spazio televisivo che in effetti è finito nel dimenticatoio a causa delle canzoni del Festival: le tribune elettorali su Rai2.

Per i meno attenti: dalla giornata di lunedì 11 febbraio la programmazione della prima serata su Rai2 è abbastanza monotona. Infatti si tengono delle conferenze stampa in cui al massimo quattro giornalisti interrogano un esponente di tutte le formazioni politiche presenti alle prossime elezioni.

Potete immaginare che la tribuna elettorale di Marco Ferrando, leader del Partito dei Comunisti dei Lavoratori, la sera della prima puntata di Sanremo (tra l’altro di un’edizione in cui Sanremo è andato molto bene in termini di audience) subisce la concorrenza del duo Fazio-Littizzetto sul palco dell’Ariston.

Probabilmente Berlusconi avrebbe voluto sfruttare quella vetrina per apparire in prima serata su Raidue. Cosa da non sottovalutare a meno di 14 giorni dal voto. Ma per spiegare il perché di questa preoccupazione del leader del centrodestra è utile fare una piccola digressione di carattere storico sulla storia dei dibattiti tv nel nostro Paese.

Da quando è iniziata la Seconda Repubblica, e dunque da quando è possibile seppur in maniera indiretta da parte dell’elettore scegliere il futuro presidente del consiglio, si è sempre posto il problema di organizzare un incontro tra i principali contendenti per la poltrona di Palazzo Chigi.

Un confronto all’americana fortemente condizionato dalla sempiterna presenza, dal 1994 ad oggi, della polarizzazione figlia della discesa in campo di Berlusconi. In alcuni anni i dibattiti si sono fatti. In altri no.

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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