Stallo alla messicana

Pubblicato il 27 Febbraio 2013 alle 11:47 Autore: Livio Ricciardelli

Lo scenario disegnato dal voto del 24 e 25 febbraio non è considerabile come uno scenario alla greca.

Lo scenario elettorale greco, stiamo parlando del 2012, ha visto la ripetizione delle elezioni a seguito dell’impossibilità assoluta di comporre qualsiasi tipo di coalizione. Ciò ha portato il paese di nuovo alle urne, guidato da un esecutivo retto dal presidente consiglio costituzionale, in cui si è polarizzata la dialettica politica tra le forze filo-memorandum europeo (conservatori di Nuova Democrazie e socialisti del Pasok in primis) e forza anti-europee e anti-austerity (la sinistra di Tsipras).

Oggi in Italia numericamente può esserci un governo possibile (quello tra Pd e PdL, già ipotizzato da Berlusconi) cosa assente nel primo scenario greco.

Mentre appare quanto mai irrealistica un fronte nazionale anti-populista (quindi anti-Grillo) da comporre in vista di nuove ed imminenti elezioni politiche, sulla falsariga del secondo scenario ellenico.

Resta il fatto che sul fronte europeo lo scenario che si è delineato era quello più temuto dagli osservatori internazionali. E per capire come si è arrivati a ciò occorre levarsi di dosso alcuni stereotipi e certe semplificazioni:

Il vero sconfitto: il vero sconfitto è uno solo: il centrosinistra e la coalizione Italia Bene Comune guidata da Pierluigi Bersani.

Sconfitti per varie ragioni. Innanzitutto bisogna considerare che la coalizione di centrosinistra partiva favorita in questa competizione. E appariva come la coalizione più forte in quanto all’opposizione dal 2008 al 2011, ovvero sotto il quarto governo Berlusconi.

L’impopolarità di alcune misure e di alcuni atteggiamenti presi da governo di centrodestra ha spinto molti a guardare alla coalizione di Bersani come l’alternativa naturale di fronte al malcontento nei confronti del fronte berlusconiano.

Nonostante la posizione di vantaggio il centrosinistra ha vinto per lo 0.4% alla Camera dei Deputati mentre al Senato ha perso in molte regioni in maniera inaspettata (Calabria, Abruzzo, Puglia)  e in regioni in bilico ma dove però si era ottimisti (la Campania).

Ciò porta il centrosinistra ad avere una maggioranza alla Camera di 345 deputati. Per quanto lo scarto tra centrosinistra e centrodestra alla Camera non sia troppo dissimile da quello del 2006 bisogna osservare che proporzionalmente questi 345 deputati sono molti di più rispetto a 7 anni fa in quanto non si è delineato uno scenario ultra-polarizzato come quello del 2006 e dunque il restante 45% dei seggi non è andato ad una singola coalizione ma a tre (Berlusconi, Grillo, Monti).

Tanto che lo scarto in termini di seggi tra centrosinistra e centrodestra a Montecitorio supera i 200 deputati.

Al tempo stesso però il centrosinistra ha solo la maggioranza relativa al Senato. Ed è quanto mai lontana dalla maggioranza assoluta a Palazzo Madama.

Uno schieramento che si aspettava di governare da solo, pur con un certo allargamento al centro, si troverà nella migliore delle ipotesi a governare col centrodestra di Berlusconi.

Il Pd alla Camera prende il 25.4%. Si tratta della peggior percentuale della storia del partito a livello nazionale. Ancor più basso dello storico minimo del partito, quel 26.1% che prese guidato da Dario Franceschini alle europee del 2009.

Il centrosinistra perdente nel 2008 ottenne circa il 38% dei voti contro un centrodestra vicino al 48%. Questo vuol che non solo il Pd di Bersani non è stato assolutamente in grado di intercettare quei voti che cinque anni fa determinarono la vittoria dello schieramento vincitore, ma ne addirittura persi. Sia dal punto di vista percentuale (oltre 8% in meno del 2008) sia dal punto di vista assoluto (affluenza crollata del 5.3% rispetto a cinque anni fa).

La verità è che Bersani, eletto segretario del partito nell’ottobre 2009, non ha mai vissuto veri e propri test nazionali.

L’unico test in parte nazionale sono state le regionali del 2010, dove andarono al voto 11 regioni.

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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