L’autoreferenzialità di linguaggio: il recinto dei giaguari

Pubblicato il 27 Febbraio 2013 alle 11:01 Autore: Dario Cafiero

La caccia al colpevole della “vittoria incompleta” del centrosinistra è partita. Nel gioco italico del rimpallo di responsabilità – soprattutto politiche – in pochi però (ad eccezione, ad esempio, della professoressa Giovanna Cosenza) si son soffermati nell’analizzare quella che per i più è un’inezia, cioè il linguaggio.

La ristretta campagna – almeno quella “ufficiale” è durata solamente (si fa per dire) due mesi – ha infatti reso ancor più determinante la comunicazione dei vari programmi. C’è chi ha puntato sul suo repertorio “classico”, e cioè quello delle promesse di sgravio fiscale (farlocco quanto vi pare, ma sempre d’impatto nell’immaginario di uno dei Paesi maggiormente tassati al mondo), chi ha riscoperto le piazze, prima virtuali poi reali, e chi ha passato la campagna … a rincorrere i giaguari.

Le buffe metafore di matrice crozziana sono state allo stesso tempo croce e delizia della campagna del Partito Democratico. La “delizia” è stata però solo nella parte iniziale, quella delle primarie del centrosinistra, dove – rivolgendosi all’elettorato di centrosinistra – è stato necessario (per Bersani così come per Renzi, per Vendola, per Tabacci con i suoi “marxisti” e la Puppato) creare un linguaggio che potesse essere compreso dai militanti e dai simpatizzanti democratici ed ascrivibili comunque all’elettorato di centrosinistra.

Quello che però è mancato è stato il cambio di passo dal 3 dicembre in poi. Continuando nel solco delle metafore e delle buffe – per carità – vignette “spartane” su Batman (e, successivamente, Robin), il target di riferimento della comunicazione democratica è rimasto lo stesso: l’elettorato del centrosinistra. Difficile che una metafora su di un giaguaro o una vignetta sull’eroe mascherato potessero strappare un voto. Al massimo un sorriso.

Tutto ciò non ha avuto altro risultato se non quello di arrivare alla spirale autoreferenziale che ha condannato il centrosinistra a parlare “tra sé e sé”, a non capire che il destinatario della comunicazione elettorale doveva essere l’elettore incerto e non quello che già era sicuro di votarti. Un aspetto, se vogliamo, confermato da una campagna che “dal vivo” ha attraversato tantissimi teatri e pochissime piazze, eccezion fatta per Milano, dove pure lì però c’è stata una semi-gaffe con l’utilizzo di una foto della campagna di Pisapia.

Un errore avallato dai sondaggi, che – come spesso capita in Italia – sono stati additati di essere “sbagliati” mentre, forse per la prima volta, hanno indovinato la percentuale del centrodestra. Il problema è stato, semmai, quello di intercettare la crescente ondata del Movimento Cinque Stelle. Insomma, volendo chiosare, è successo che nel centrosinistra molti si sono cullati nascondendosi dietro le autoreferenzialità delle identità social. Ma i profili non votano, le persone sì.

L'autore: Dario Cafiero

Laureato in Comunicazione politica all'Università di Firenze con una tesi sul linguaggio politico di Mario Monti prima delle elezioni politiche del 2013. Collabora con l'Unità e al Corriere Nazionale, ed alla campagna elettorale regionale 2010 per il candidato di centrosinistra. Dal 2011 all'ufficio stampa della giunta provinciale di Firenze. Appasionato di politica e giornalismo, ultimamente scopre (dal divano) il fantastico mondo del basket
Tutti gli articoli di Dario Cafiero →