Movimento 5 Stelle da watchdog a partito

Pubblicato il 27 Marzo 2013 alle 10:26 Autore: Matteo Patané

Il Movimento 5 Stelle rappresenta una delle mutazioni genetiche più interessanti della storia politica italiana contemporanea. La formazione sorpresa delle ultime elezioni politiche che ha messo in crisi il bipolarismo della Seconda Repubblica mostrandosi come forza politica in grado di competere ad armi pari con il centrodestra ed il centrosinistra.

In particolare tiene banco in questi giorni l’atteggiamento dei parlamentari del MoVimento nei confronti della possibilità di formare un governo in coalizione – o dando un appoggio esterno anche limitato al primo voto di fiducia – con il centrosinistra. Atteggiamento che, salvo alcune sbavature, pare per ora molto compatto su un rifiuto totale di qualsiasi trattativa con gli altri partiti.

Si tratta di un modo di porsi che, per quanto più volte rimarcato dallo stesso leader del partito nel corso della campagna elettorale, costituisce una mutazione dai più inaspettata del ruolo del M5S, un vero e proprio rovesciamento valoriale rispetto a quanto è stato avviato e sta procedendo in modo molto fruttuoso ad esempio in Sicilia. Sostanzialmente, nella classifica valoriale del MoVimento 5 Stelle, il tema della distruzione del sistema partitico – o quantomeno dell’attuale classe dirigente del Paese – ha in qualche modo superato come priorità il tema dell’attività politica a favore del Paese e dei cittadini italiani.

L’assunto è forte, e naturalmente si espone a critiche ed obiezioni.

La prima osservazione riguarda il paragone con la Sicilia. In regione il Presidente non deve sottoporsi al voto di fiducia in quanto eletto direttamente dal popolo; in tal modo, il MoVimento 5 Stelle ha potuto iniziare un percorso di collaborazione con il centrosinistra unicamente dal punto di vista programmatico, basato su un confronto tra programmi paritario in cui entrambe le parti si sono trovate ad avanzare proposte e arrivare ad una cernita basata sul vaglio reciproco.

Tale confronto, sostengono i puristi del MoVimento 5 Stelle, in Parlamento non è possibile perché occorre un voto di fiducia, ovvero un appoggio formale all’esecutivo; le motivazioni addotte da chi rifiuta la fiducia ad un esecutivo a targa PD si possono trovare in un articolo scritto in data 13 marzo da Claudio Messora, già volto noto del M5S e dal 20 marzo responsabile per la comunicazione del Senato per il MoVimento. La sua opinione può quindi essere considerata una posizione ufficiale nella galassia di voci che compongono il M5S.

Secondo Messora, sostanzialmente, un appoggio che si limitasse alla prima fiducia sarebbe un travisamento del significato originale del voto di fiducia, che di fatto dovrebbe implicitamente essere la certificazione di una reale maggioranza politica in grado di garantire stabiità al potere esecutivo e non un atto formale che permette ad un Governo di entrare in carica.

Si tratta tuttavia di una distinzione accademica e formale che necessita di un contesto: un Governo insediato che tradisce il mandato della maggioranza politica che lo sostiene non merita forse un voltafaccia sul tema della fiducia? Se Bersani convincesse dei propri punti programmatici i parlamentari del M5S, e successivamente tradisse il mandato, non sarebbero giustificate tanto la fiducia quanto la successiva sfiducia?

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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