Il referendum in Gran Bretagna sulla legge elettorale

Pubblicato il 3 Giugno 2011 alle 15:06 Autore: Francesca Petrini
referendum in gran bretagna

Le ultime elezioni politiche del maggio 2010 hanno rappresentato un evento storico per la Gran Bretagna: infatti, se da sempre si sono affermati governi monopartitici, paradigma dello stesso modello Westminster, per la quarta volta in cento anni la competizione elettorale del maggio 2010 ha prodotto un hung parliament, ovvero un Parlamento dove nessun partito gode della maggioranza assolut. Ed è ormai trascorso quasi un anno da quando in Gran Bretagna governa un insolito esecutivo di coalizione conservatore-liberale, sotto la guida dei leader dei due partiti, David Cameron come Premier e Nick Clegg come Deputy Prime Minister: entrambi, all’indomani delle elezioni politiche, hanno necessariamente cercato una mediazione al fine di trovare un accordo su un programma di governo (The Coalition – Our programme for Government) tale da esprimere nel miglior modo possibile sia le posizioni dei conservatori che quelle dei liberaldemocratici. Uno dei punti chiave dell’accordo di coalizione è stato il compromesso relativo al referendum sul sistema elettorale: la modifica del sistema elettorale è infatti da sempre il cavallo di battaglia dei liberaldemocratici, la formazione maggiormente penalizzata dal maggioritario di tipo plurality in vigore e, pertanto, è stata da questi posta come condizione al momento di sottoscrivere l’accordo di coalizione con i conservatori. Il governo ha così presentato, nel luglio 2010, il Parliamentary Voting System and Constituencies bill, ovvero un disegno di legge volto ad istituire il referendum (il quale sanciva che “A referendum is to be held on the voting system for parliamentary elections”) e a prevedere anche la riduzione, da 650 a 600, del numero dei deputati ai Comuni, approvato poi nel mese di febbraio 2011. Così, il 5 maggio scorso, in occasione del primo anniversario del primo esecutivo di coalizione britannico del XXI secolo, il Regno Unito ha votato un referendum sulla legge elettorale il cui quesito recitava: At present, the UK uses the “first past the post” system to elect MPs to the House of Commons. Should the “alternative vote” system be used instead?.

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È bene ricordare che, nella patria del bipartitismo quasi perfetto e dei collegi uninominali, il partito liberale ha da sempre premuto per abbracciare un modello elettorale più “equilibrato”, che potrebbe dare ai partiti terzi un peso politico maggiore, forse anche decisivo, per la formazione dei governi e delle maggioranze. Al momento attuale, infatti, il Regno Unito, per eleggere i parlamentari alla Camera dei Comuni, utilizza il sistema first past the post, il cui nome deriva dal gergo delle corse dei cavalli, dove c’è solo un vincitore: in altre parole, il territorio è diviso in collegi, in ogni collegio i partiti propongono un candidato e, dopo le elezioni, il candidato che ottiene almeno un voto più di tutti gli altri nel collegio viene eletto. Non esiste, quindi, una distribuzione proporzionale dei seggi in base al numero dei voti e, infatti, il sistema fa parte della famiglia dei c.d. sistemi maggioritari. Diversamente, il sistema sottoposto al voto degli elettori britannici tramite referendum e denominato alternative vote, prevede che gli elettori continuino a eleggere un candidato per ogni collegio, ma in un modo diverso: il giorno delle elezioni, infatti, sulla scheda elettorale potranno segnare i candidati in ordine di preferenza, invece di votarne uno solo. In tal modo, al momento dello spoglio, saranno contate innanzitutto le prime preferenze, i primi posti: se nessun candidato ha una maggioranza assoluta di prime preferenze, il candidato con meno prime preferenze di tutti viene scartato e vengono prese in considerazione e distribuite agli altri candidati le seconde preferenze di chi aveva votato per lui. Il processo continua quindi in questo modo finché non si arriva a un unico candidato che ottiene la maggioranza assoluta di preferenze. Da un punto di vista tecnico, si noti che la formula rientra sempre nella famiglia dei sistemi maggioritari, ma diventa un majority a turno unico in collegi uninominali che, rispetto all’attuale plurality, garantisce il fatto che per essere eletti serve una maggioranza assoluta e permette all’elettore di esprimere un voto di protesta, con la possibilità quindi di riallocare la propria preferenza ai fini della scelta del governo.

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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