Il suicidio del Pd nel finale del “romanzo Quirinale”

Pubblicato il 18 Aprile 2013 alle 10:42 Autore: Gianluca Borrelli

Ci siamo è iniziata da pochissimo la votazione per eleggere il dodicesimo Presidente della Repubblica. Il PD per bocca del suo stesso segretario Bersani ha dichiarato di aver trovato un accordo con il PDL (Berlusconi quindi) e Scelta Civica per fare eleggere Franco Marini.

Stupore tra i militanti non soltanto per il nome ma anche per le modalità, soprattutto dopo che Grillo si era detto disposto a iniziare una collaborazione se il PD avesse accettato di concordare con loro il nome del prossimo inquilino del Colle.

Addirittura il nome scelto dal M5S è un uomo che ha una storia chiaramente radicata nel centrosinistra attuale, una storia inconfondibile quella di Stefano Rodotà che è stato persino presidente del PDS (poi DS e poi fuso nel PD), quindi un uomo di apparato che ha iniziato il suo percorso politico insieme a molti di coloro che appartengono all’apparato attuale.

Anche le modalità sono state alquanto sconcertanti. Dopo settimane di inseguimento del M5S con la proposta degli 8 punti (che poi erano 36 andando a leggere i dettagli), i ridicoli “ti conosco mascherina” ecc., eccoci finalmente all’abbraccio già ampiamente previsto fin dal primo giorno ma palesatosi in tutta la sua magnificenza solo all’ultimo.

Anche l’assemblea del PD è stata colta di sorpresa dalla notizia, segno che Bersani ha fatto per conto suo per poi chiedere alla assemblea dei grandi elettori del PD solo una ratifica a giochi ormai fatti, per giunta a scrutinio palese come imposto da Zanda con uno stile simile a quello del comitato dei garanti delle primarie di triste memoria e di cui abbiamo già parlato qui.

La ratifica è avvenuta quindi con 222 voti favorevoli su una base complessiva di grandi elettori di centrosinistra di 495 circa. 90 i contrari 30 gli astenuti. Sel si è rifiutata di votare come molti altri schifati mentre fuori infuriavano cori di protesta degli elettori del PD.

Oggi servono 672 voti su 1007. Grillo ne ha 163 e Sel 45. Tolti questi ne restano circa 800. Marini deve prendere 672 voti su 800: bastano 130 voti contrari di gente del Pd perché non sia eletto.

Geniale la spiegazione di Fassina al suo appoggio a Marini: “mia cognata che lavora alla posta e mio cognato che fa l’elettrauto non sanno chi è Rodotà, Franco è in grado di ricostruire una connessione sentimentale con il paese”. Senza dubbio un ragionamento da statista. Anche Chiara Geloni ha mostrato grande soddisfazione, ma con lo stipendio che prende dal partito non ci si aspettava diversamente.

Ma veniamo al dunque. Un capo dello stato bisogna eleggerlo e bisogna farlo con una larga coalizione. Ok nel 2006 non è andata proprio così se vogliamo, ma questa volta ci stava, anche perché la coalizione di Bersani ha preso meno del 30% (e non perché ha preso pochi voti in più di Berlusconi, nel 2006 il distacco tra le 2 coalizioni era persino inferiore). L’opzione era quindi tra due possibili alleati volendo cercare una convergenza ampia: il M5S e il PDL. Due gruppi che si equivalgono più o meno come voti e come grandi elettori.

Inizialmente il M5S ha risposto picche, ma poi comprendendo che la sua stessa base non avrebbe capito ha proposto il nome di Rodotà. Nel frattempo il PD già non li considerava più come interlocutori avendo deciso di rivolgersi solo al PDL, supportato abbastanza sorprendentemente da Monti che in campagna elettorale aveva tanto attaccato Berlusconi e che ora sembra non poter vivere senza di lui. No, se qualcuno stava pensando che Monti potrebbe prendere l’eredità di Berlusconi una volta uscito di scena come leader della coalizione di centrodestra se lo scordi. Non c’è niente di tutto questo, non si sa perché si siano sottomessi in questo modo regalando al PDL voti che non avrebbero mai preso altrimenti (quindi ingannando i propri elettori e causandone in molti di loro un amaro pentimento). In cambio di nulla a quanto si sa, anche perché Monti vuole uscire di scena e nel farlo ha deciso di rendere Scelta Civica una forza vassalla e ancillare rispetto al PDL berlusconiano, una forza che quasi certamente non esisterà alle prossime elezioni e che probabilmente si scioglierà.

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L'autore: Gianluca Borrelli

Salernitano, ingegnere delle telecomunicazioni, da sempre appassionato di politica. Ha vissuto e lavorato per anni all'estero tra Irlanda e Inghilterra. Fondatore ed editore del «Termometro Politico».
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