L’ultima parola alla Rete

Pubblicato il 18 Giugno 2013 alle 19:44 Autore: Gabriele Maestri

L’ultima parola alla Rete

Il nome di Adele Gambaro rimbalza da giorni da un sito a un telegiornale a un articolo di carta stampata: il caso relativo all’espulsione della senatrice del MoVimento 5 Stelle sta occupando quasi stabilmente spazi sui media, con annesse polemiche politiche e non solo. Qui non si giudicherà la vicenda, non si dirà nulla sull’opportunità di espellere o meno la cittadina (ciascuno era e resta libero di farsi l’idea che crede), ma vale la pena di riflettere un po’ sulla scelta di dare «l’ultima parola» alla Rete, così come è stato scelto dall’assemblea dei parlamentari M5S di Camera e Senato (che pure, a quanto si è detto, si è espressa per l’espulsione a maggioranza dei presenti).

Su cosa esattamente saranno chiamati a votare gli attiVisti a 5 Stelle? Sull’espulsione della senatrice Gambaro, d’accordo, ma da che cosa? Da fonti parlamentari si apprende che il voto riguarderebbe non tanto l’esclusione dal MoVimento, bensì l’espulsione dal solo gruppo parlamentare del Senato. Le due cose, per quanto siano affini, non coincidono: l’espulsione di un attiVista dal MoVimento è probabilmente più complessa da configurare almeno sul piano delle regole. Ogni gruppo parlamentare si dà un proprio regolamento, pubblicato nel sito della Camera di appartenenza: in questo caso, si tratterebbe di applicare l’art. 12 del Regolamento del gruppo M5S Senato, in base al quale è il Presidente del gruppo (in questo caso, Nicola Morra) a provvedere all’espulsione, su delibera dell’assemblea dei parlamentari (deputati e senatori insieme) a maggioranza dei propri componenti, ma – prevede l’ultimo comma – «n ogni caso, l’espulsione dovrà essere ratificata da una votazione on line sul portale del MoVimento 5 Stelle tra tutti gli iscritti, a maggioranza dei votanti».

movimento 5 stelle

adele gambaro

Si tratta, a ben guardare, di una questione di non poco conto. Se «l’ultima parola» viene affidata alla Rete, significa che il Presidente si limiterà a prendere atto della decisione degli “iscritti”, anche se dovesse essere di segno diverso rispetto a quella uscita dall’assemblea dei parlamentari. Di fatto, in questo modo, una decisione su un evento puramente interno alle Camere viene demandata “ufficialmente” a soggetti (gli attiVisti, in questo caso) che ne stanno fuori. Ci si può chiedere, a questo punto, se questa pratica sia rispettosa fino in fondo del principio di autonomia del Parlamento e del dettato dell’articolo 67 della Costituzione, quello in base al quale «gni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

In effetti, se dell’autonomia del Parlamento e del divieto di mandato imperativo si dà una lettura severa ed estensiva, qualche dubbio è lecito che sorga: non sembra particolarmente in linea con l’autonomia delle Camere che decisioni che attengono solo alla dinamica parlamentare (che, dunque, riguardano il gruppo e non il MoVimento, che non appartiene al Parlamento) siano in definitiva decise da chi delle stesse Camere non fa parte; allo stesso modo, è difficile negare che un’eventuale espulsione decretata dal voto degli elettori, soggetti esterni al Parlamento, metta l’eletto in condizione di non potere (più) svolgere il proprio mandato parlamentare nel modo desiderato, se non altro perché è “costretto” a farlo in un gruppo diverso da quello da cui non ha scelto di uscire (ritenendo magari prevalenti le ragioni di permanenza rispetto a quelle di dissenso).

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L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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