Datagate, il vero scandalo della presidenza Obama

Pubblicato il 3 Luglio 2013 alle 14:40 Autore: Simone Pazzaglia

Il Datagate è stato, in oltre 5 anni di mandato, il vero scandalo della presidenza Obama. Quasi ogni presidente statunitense ha avuto il suo “anatema”, da quasi due mesi è il turno anche di Barack Obama.

Colpa (secondo alcuni, secondo altri merito ) di Edward Snowden, ex assistente tecnico della CIA che ha svelato la natura di PRISM un programma spaventosamente  tentacolare ed ovviamente segretissimo gestito dalla National Security Agency (Nsa) degli Stati Uniti in grado, secondo Snowden, di “monitorare in diretta la comunicazione e le informazioni memorizzate”, una specie di Grande Fratello al cubo, Panopticon (la prigione perfetta teorizzata da  Jeremy Bentham che poi divenne icona del “potere occulto”) compiuto.

La vicenda si è immediatamente tinta dei toni del romanzo di cospirazione, l’intervista esclusiva al Guardian, rivelazioni scottanti, con tanto di prima sparizione e Snowden che riappare miracolosamente ad Hong Kong, da cui si concede alla stampa per rivelare tutti i dettagli.

Ad Hong Kong nuovo colpo di scena, infatti la città e gli USA hanno un accordo di estradizione firmato nel 1996, un anno prima che il “Porto profumato” passasse dall’autorità britannica a quella cinese. Secondo l’intesa, entrambe le parti possono rifiutarsi di consegnare una persona, in caso di reati politici. Inoltre, Pechino può opporre il suo veto in caso di implicazioni per «la difesa, la politica estera o l’interesse nazionale» del Paese.

L'America cambia: un poster di Obama in Colorado

La tensione tra Pechino e Washington è arrivata alle stelle, non certo stemperata dalle dichiarazioni dell’informatico nell’intervista rilasciata al South China Morning Post: “Non sono né un traditore, né un eroe. Sono un americano” e ancora “Chi crede che abbia fatto un errore a scegliere Hong Kong come destinazione, ha frainteso le mie intenzioni, non sono qui per nascondermi dalla giustizia, sono qui per rivelare i crimini” e per finire “Ho avuto molte opportunità per lasciare Hong Kong, ma vorrei rimanere e combattere il governo degli Stati Uniti in tribunale, perché ho fiducia nello stato di diritto”.

In quei giorni l’FBI ha aperto un’inchiesta su Snowden e il Regno Unito ha emesso una nota per le compagnie aeree chiedendo di non imbarcare su voli per il Paese .

In seguito alla partecipatissima live chat organizzata dal Guardian Snowden ha lasciato Hong Kong per Mosca (sembrerebbe con l’aiuto dietro le quinte di Wikileaks) e lì un nuovo braccio di ferro diplomatico, stavolta Obama ha dovuto vedersela con Vladimir Putin, la situazione ha generato uno stallo senza precedenti riscontrabili: Snoweden è diventato un vero e proprio apolide, come ha lamentato lui stesso, l’aereoporto di Mosca che doveva essere una tappa verso il Sud America si è rivelato un “soggiorno forzato”.

Col premier russo che si rifiutava di estradare l’informatico “perché in USA c’è la pena di morte” ma precisando che “se Snowden vuole stare a Mosca deve cessare il suo lavoro volto a danneggiare i nostri partner americani”. Nel frattempo “il nostro”  ha chiesto aiuto in totale a 21 Paesi tra cui  India (che ha rigettato istanza), Germania, Francia, Spagna (che ritiene la richiesta di asilo inammissibile), Austria (che ha fatto sapere che la richiesta non può essere presentata in ambasciata), Bolivia, Brasile, Cina, Cuba, Finlandia e Svizzera.

La risposta positiva di Evo Morales ha allarmato i servizi segreti USA a tal punto che in data odierna l’aereo del presidente Boliviano è stato fatto atterrare all’aeroporto di Schwechat a Vienna, dopo la chiusura degli spazi aerei francesi e portoghesi per paura che portasse a bordo “la Talpa”.

La trama non accenna a dipanarsi e probabilmente riserverà altri colpi di scena, nel frattempo l’opinione pubblica resta sintonizzata, con  la certezza di essere ascoltata.