Ineleggibile per (gentile) concessione?

Pubblicato il 12 Luglio 2013 alle 18:56 Autore: Gabriele Maestri
processo mediaset berlusconi

Non bastavano l’afa di questi giorni e i bollori legati alla decisione della Cassazione sul processo Mediaset (compreso lo stop all’attività delle Camere, poco decoroso dal punto di vista istituzionale). Ad alzare la temperatura provvede ora la discussione sull’ineleggibilità di Silvio Berlusconi – approdata ieri alla Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato – e, in particolare, l’ultima puntata, tutta “televisiva”, legata alle concessioni per le emittenti di Mediaset.

Per ricostruire correttamente la vicenda, è bene affidarsi al resoconto sommario della seduta della Giunta di ieri e alle agenzie. Da tempo il MoVimento 5 Stelle e altri soggetti politici ritengono che Berlusconi sia ineleggibile, a norma dell’art. 10, comma 1, n. 1 del testo unico per l’elezione della Camera (d.P.R. n. 361/1957), in base al quale «Non sono eleggibili coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o imprese private risultino vincolati con lo Stato per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica». Nel mirino ci sono – e ci sono state già altre volte – le televisioni del gruppo Mediaset, che fino a pochi anni trasmettevano (sia pure con il distinguo parziale di Retequattro) in base alla concessione ottenuta dallo Stato.

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi

Andrea Augello (Pdl), relatore per il Molise – Berlusconi, candidato in tutte le regioni, ha optato per quella circoscrizione – ha ricordato i precedenti in materia, per cui la Camera dal 1994 ha sempre respinto i ricorsi per l’ineleggibilità dell’ex premier: in base a una lettura restrittiva (trattandosi di norma eccezionale), si ritenne che le eventuali concessioni dovessero essere esercitate «in nome proprio», non potendo essere sanzionate le posizioni «riferibili alle società interessate solo a mezzo di rapporti di azionariato, tanto più se si tratta di partecipazioni indirette». Era andata così a Vittorio Cecchi Gori, divenuto senatore quando presiedeva la Cecchi Gori Communication Spa: lui era titolare di azioni della società che, attraverso altri due soggetti intermedi, controllava Beta Television Spa, proprietaria di Videomusic-Tmc2 (che la concessione l’aveva), ma il rapporto Cecchi Gori – Beta Tv era solo indiretto, per cui non si trovava in una situazione di ineleggibilità.

A scatenare la nuova puntata, la richiesta del senatore Pd Felice Casson, per il quale sarebbe stato necessario «acquisire l’atto concessorio relativo alle reti Mediaset, indispensabile al fine di valutare se tale provvedimento rivesta natura di concessione o di autorizzazione» e, già che ci si era, anche la sentenza della Corte di appello di Milano che ha confermato la condanna di Berlusconi per frode fiscale nel processo sui “diritti Mediaset”, per trarre «elementi utili al fine di verificare il ruolo svolto dal senatore Berlusconi rispetto alle aziende in questione». Subito è arrivata la risposta del senatore Pdl Giacomo Caliendo: egli segnalava che l’esercizio delle frequenze tv, dopo l’emanazione del testo unico della radiotelevisione (d.lgs. n. 177/2005), era soggetto solo a un’autorizzazione generale, non specifica, quindi non rientrava nell’ipotesi della norma del ’57.

Mario Giarrusso

Mario Giarrusso

Fin qui il resoconto. Stando al racconto del senatore M5S Mario Giarrusso, Casson avrebbe proposto di inviare la Guardia di Finanza alla sede di Mediaset, per cercare e trovare i titoli abilitativi alla trasmissione: lo stesso Giarrusso avrebbe poi aggiunto che, «se non le avessero trovate davvero (cosa poco verosimile) – così il cittadino ha scritto sulla sua pagina Facebook – allora Mediaset sarebbe stata fuorilegge, con tutte le conseguenze del caso per chi esercita una attività senza le prescritte autorizzazioni». Arrivando anche, se del caso, all’oscuramento.

Il vespaio, ovviamente, era prevedibile, anche perché è la prima volta che una situazione di questo tipo (dopo la riforma del 2004-2005 del sistema radio-tv) arriva all’esame delle Camere.

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L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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